Redazione

Beirut | IFI di Zaha Hadid

Zaha Hadid ha completato presso l’Università americana di Beirut il Issam Fares Institute for Public Policy e Relazioni Internazionali (IFI).

Concepito come uno spazio neutro, dinamico, civile e aperto dove persone in rappresentanza di sfaccettati punti di vista della società possono raccogliere e discutere questioni importanti, ancorate in un impegno di lunga data per la comprensione reciproca e la ricerca di alta qualità. L’istituto mira a sfruttare, sviluppare e avviare una ricerca del mondo arabo per migliorare e ampliare il dibattito sulla politica pubblica e le relazioni internazionali. Attualmente lavora su diversi programmi che affrontano i problemi della regione, tra cui la crisi dei rifugiati, il cambiamento climatico, la sicurezza alimentare e la scarsità d’acqua, la gioventù, la giustizia sociale e lo sviluppo, urbanistica, e le Nazioni Unite nel mondo arabo.

Un’area a doppia altezza di 3.000 m² circondata da ficus e cipressi secolari, in revival modernista “l’edificio sfrutta appieno la tradizione e l’esperienza locale di lavorare con il calcestruzzo gettato in opera” come spiega il team di architettura. Una struttura con diversi ingressi separati su tre piani come primo fra tutti l’auditorium da 100 posti sito al livello più basso, come sommerso dall’edificio stesso, e con un proprio ingresso, che permette di ospitare grandi eventi e conferenze senza interrompere o disturbare studenti, borsisti e ricercatori durante il proprio lavorano nel resto dell’edificio. Altri spazi comprendono una sala lettura, laboratori e aree di ricerca. Un grande lucernario proietta la luce naturale all’interno dei vali livelli, mentre una terrazza schermata offre uno spazio break-out per il personale e gli studenti. L’edificio IFI è l’ultimo di una serie di progetti di Zaha Hadid che completerà negli ultimi 12 mesi.

Foto di Hufton + Crow

Venezia | 14 Mostra Internazionale di Architettura

Ha aperto i battenti la XIV Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, diretta da Rem Koolhaas, l’archistar olandese che ha scelto di intirolarla ‘Fundamentals’. “Credo che oggi non abbia più senso parlare di architettura svizzera, cinese o indiana. A ciascun paese chiederemo di raccontare la propria storia negli ultimi 100 anni in relazione all’idea di modernità, che sia stata accettata o rifiutata. Cercheremo insieme di capire come mai 100 anni fa era possibile parlare di architetture nazionali e ora non più. Ci chiederemo come siamo arrivati a una situazione in cui tutti costruiscono le stesse cose” come ha dichiarato Koolhaas. Una mostra diversa nei contenuti e nella forma, in cui si parla di architettura e non di architetti, un grande laboratorio dedicato alla realizzazione di un unico grande progetto denominato ‘Una Ricerca Corale sull’Architettura!’.

La Biennale è divisa in tre sezioni distinte: Absorbing Modernity 1914-2014, Elements of Architecture, Monditali. L’ultima sezione è dedicata all’Italia, ospitata alle Corderie dell’Arsenale, dove tra eventi, 82 film, 41 progetti di ricerca e rappresentazioni teatrali si assiste ad una scansione dell’Italia e della complessità della sua società, che, come altre nel mondo, rappresenta un punto di riferimento e d’ispirazione per l’architettura. Il racconto della realtà italiana coinvolge in contemporanea, per la prima volta, anche i settori di Danza, Musica, Teatro e Cinema della Biennale, in grado di offrire un ritratto collettivo del paese ospitante. Il Padiglione Italia all’Arsenale, è stato curato dall’architetto Cino Zucchi ed organizzato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali in collaborazione con la PaBAAC.

Nei giorni dell’inaugurazione la Biennale si è tinta di social, grazie alla collaborazione del team Veneziadavivere e IgersVenezia, che ha ospitato nella città lagunare importanti Instagramer provenienti da tutto il mondo. L’instameet è partito dall’isola di San Giorgio con l’opera di land art ‘The Sky Over Nine Columns’ a firma di Heinz Mack, realizzata in collaborazione con la Fondazione Giorgio Cini. Imponenti colonne dorate hanno già fatto il giro del mondo grazie ai fiumi di scatti che gli Instagrammer hanno pubblicato in diretta con l’hashtag #architecturebiennaleinstameet. Tutte le immagini rimarranno, infatti, sulle pagine di Veneziadavivere creando un reportage sugli eventi d’arte, cultura, ma soprattutto architettura che accenderanno Venezia.

Tra le numerose attività organizzate da Le Stanze del Vetro, abbiamo partecipato alla performance della ‘Glass Tea House Mondrian’ di Hiroshi Sugimoto, celebre per i suoi scatti black&white. Il fotografo giapponese, prestato per la prima volta all’architettura, ha realizzato un padiglione temporaneo ispirato alla tradizione giapponese della cerimonia del tè. Un cubo di vetro trasparente in cui un maestro cerimoniere accoglie due visitatori alla volta per il tradizionale rituale, mentre il pubblico può assistere dall’esterno della struttura. Un’altra novità della Biennale è la partecipazione del Kosovo, con un padiglione ricco di immagini, per illustrare l’architettura di una terra piena di contraddizioni e numerose contaminazioni culturali.

Venezia | 14 Mostra Internazionale di Architettura

Ha aperto i battenti la XIV Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, diretta da Rem Koolhaas, l’archistar olandese che ha scelto di intirolarla ‘Fundamentals’. “Credo che oggi non abbia più senso parlare di architettura svizzera, cinese o indiana. A ciascun paese chiederemo di raccontare la propria storia negli ultimi 100 anni in relazione all’idea di modernità, che sia stata accettata o rifiutata. Cercheremo insieme di capire come mai 100 anni fa era possibile parlare di architetture nazionali e ora non più. Ci chiederemo come siamo arrivati a una situazione in cui tutti costruiscono le stesse cose” come ha dichiarato Koolhaas. Una mostra diversa nei contenuti e nella forma, in cui si parla di architettura e non di architetti, un grande laboratorio dedicato alla realizzazione di un unico grande progetto denominato ‘Una Ricerca Corale sull’Architettura!’.

La Biennale è divisa in tre sezioni distinte: Absorbing Modernity 1914-2014, Elements of Architecture, Monditali. L’ultima sezione è dedicata all’Italia, ospitata alle Corderie dell’Arsenale, dove tra eventi, 82 film, 41 progetti di ricerca e rappresentazioni teatrali si assiste ad una scansione dell’Italia e della complessità della sua società, che, come altre nel mondo, rappresenta un punto di riferimento e d’ispirazione per l’architettura. Il racconto della realtà italiana coinvolge in contemporanea, per la prima volta, anche i settori di Danza, Musica, Teatro e Cinema della Biennale, in grado di offrire un ritratto collettivo del paese ospitante. Il Padiglione Italia all’Arsenale, è stato curato dall’architetto Cino Zucchi ed organizzato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali in collaborazione con la PaBAAC.

Nei giorni dell’inaugurazione la Biennale si è tinta di social, grazie alla collaborazione del team Veneziadavivere e IgersVenezia, che ha ospitato nella città lagunare importanti Instagramer provenienti da tutto il mondo. L’instameet è partito dall’isola di San Giorgio con l’opera di land art ‘The Sky Over Nine Columns’ a firma di Heinz Mack, realizzata in collaborazione con la Fondazione Giorgio Cini. Imponenti colonne dorate hanno già fatto il giro del mondo grazie ai fiumi di scatti che gli Instagrammer hanno pubblicato in diretta con l’hashtag #architecturebiennaleinstameet. Tutte le immagini rimarranno, infatti, sulle pagine di Veneziadavivere creando un reportage sugli eventi d’arte, cultura, ma soprattutto architettura che accenderanno Venezia.

Tra le numerose attività organizzate da Le Stanze del Vetro, abbiamo partecipato alla performance della ‘Glass Tea House Mondrian’ di Hiroshi Sugimoto, celebre per i suoi scatti black&white. Il fotografo giapponese, prestato per la prima volta all’architettura, ha realizzato un padiglione temporaneo ispirato alla tradizione giapponese della cerimonia del tè. Un cubo di vetro trasparente in cui un maestro cerimoniere accoglie due visitatori alla volta per il tradizionale rituale, mentre il pubblico può assistere dall’esterno della struttura. Un’altra novità della Biennale è la partecipazione del Kosovo, con un padiglione ricco di immagini, per illustrare l’architettura di una terra piena di contraddizioni e numerose contaminazioni culturali.

Mantova architettura, maggio 2014

In occasione dei 20 anni del Polo territoriale del Politecnico di Milano, Mantova regala a studenti e cultori un evento denominato ‘Mantova architettura, maggio 2014’ dedicato all’architettura con anche appuntamenti in città e in provincia.
La cittadina lombarda ha offerto un intreccio di esperienze di livello internazionale a partire dalle conferenze nel Tempio di San Sebastiano tenute dalla Cattedra Unesco con Carrilho da Graça, Alberto Campo Baeza, Quintus Miller e Gonçalo Byrne a cui sono seguiti numerosi eventi, convegni e lezioni aperte. Ma il fiore all’occhiello del ricco calendario è stata la mostra “Mantova school of architecture” ospitata nell’affascinante Casa del Mantegna, divenuta un attivo centro d’arte.

La mostra, da poco conclusa, è stata l’occasione per ammirare i lavori della Scuola di Architettura mantovana; protagonisti i grandi architetti del ‘900 come Nervi, Aldo Rossi, Giorgio Grassi, Edoardo Souto de Moura. “Mantova ha dimostrato di essere il cuore di una cultura internazionale – ha osservato Federico Bucci Prorettore del Polo di Mantova – e lo fa anche ponendo mestri e allievi sullo stesso piano, stimolandoli partendo dagli antichi maestri, perché la tradizione è il punto di partenza di ogni nuova buona idea.”

La stessa sede rinascimentale ha ospitato nel suo cortile anche tavole rotonde di Luciano Semerani, Luigi Spinelli, Walter Angonese e Quintus Miller. Un ottimo modo per celebrare il Politecnico ed offrire alla città e ai suoi visitatori un mese di rilievo internazionale interamente dedicato al dialogo sull’architettura.

Perth | Mattisse Beach Club di Oldfield Knott Architects

Jenlin Chia e il suo team di architetti Oldfield Knott, ha recentemente inaugurato il suo ultimo progetto: l’esclusivo Matisse Beach Club sulla splendida spiaggia di Scarborough, Perth, Australia.

Il nuovissimo club, di 2000mq, coniuga glamour, design e vita da spiaggia con un design moderno e impianti di ultima tecnologia. Il beach club offre una svariata gamma di servizi, dalle cabine chic, ai lettini da spiaggia, da informali sale da pranzo, tutto coronato da una piscina circondata da palme con vista mozzafiato sull’Oceano Indiano. Il look minimalista e moderno del locale, realizzato in cemento e legno, è messo in forte contrastato dai neoni e i colori sgargianti che caratterizzano gli interni delle cabine.

Il Rosa, il giallo, il verde smeraldo e il viola spiccano sui colori tenui di soffitti, pavimenti e il bianco degli arredi. Pezzi di design come i tavoli Adan di Vondom e le sedute di Teresa Sapey, le sedie Vertex di Karim Rashid e le sdraio by Faz Collection e l’ illuminazione di Ramon Esteve sono stati accuratamente  scelti dai progettisti per redendere il locale originale ed unico nel suo genere.

Seul | Museo Chang Ucchin di Chae Pereira

A sud di Seul, circondato dalle montane e in un’area dove si incrociano due fiumi, il Museo dedicato all’artista coreano Chang Ucchin, a firma dello studio di architettura coreano Chae Pereira, è stato ideato come spazio meditativo tra estetica moderna e dettagli tradizionali.

Integrato con il territorio, si sono scelte forme e colori simili a quelli utilizzati nella tradizione locale e che non conferiscono all’edificio alcun effetto monumentale.
In pianta il progetto si presenta come un grosso nodo, in chiara ispirazione alle figure astratte dei dipinti di Chang Ucchin. Si viene a creare così, un disegno ambiguo, una figura che è contemporaneamente un animale, un segno astratto, una casa tradizionale e un labirinto.

L’edificio si sviluppa su tre piani: due fuori terra ed uno ipogeo. Nella parte centrale la struttura crea un percorso circolare da cui si diramano quattro braccia irregolari per forma e dimensione, che inquadrano diverse viste del paesaggio circostante. Il piano terra è utilizzato quasi esclusivamente per le sale espositive. Spazi a doppia altezza si aprono puntualmente lungo il percorso espositivo, aiutando i visitatori ad orientarsi, mentre scale angolari conducono ai piani superiori ed inferiori. Al piano superiore si trovano spazi espositivi più raccolti, in cui si possono ammirare schizzi e opere di piccolo formato, mentre il piano interrato ospita le sale riunioni e i depositi.

Gli esterni sono rivestiti con pannelli in policarbonato estruso, che conferiscono alla struttura un’apparente leggerezza. Il paesaggio circostante, ricco di grandi alberi di castagno, invece, è stato lasciato inalterato se non per qualche puntuale intervento con muri di cemento e piccoli sentieri.

Foto di Park Wansoon

Lisbona | MUDE di Alexandre De Betak

Il talento di Alexandre De Betak di Bureau Betak ha colpito ancora!
Questa volta con un’installazione realizzata al Museo do Design e da Moda (MUDE) di Lisbona in occasione del decimo anniversario della linea di moda dello stilista Portoghese Felipe Oliveira Baptista.

Il designer di origine francese De Betak, considerato il Fellini della moda, è specializzato nella realizzazione di eventi e fashion shows ed ha allestisto le più spettacolari passerelle delle grandi case di moda, da Dior a Miu Miu, passando per  Viktor & Rolf, Jason Wu, Michael Kors e Victoria’s Secret. Nell’affascinande location del museo del Design e della Moda della capitale portoghese, De Betak ha realizzato uno spazio caleidoscopico con giochi di specchi e luci che offrono una visione multiforme del lavoro dello stilista.

Nella location postindustriale, nuda e decostruita del Mude, sono il riflesso e la lucentezza dei materiali utilizzati, che, in forte contrasto con il contesto, rendono il lavoro di De Betak estremamente affascinate. Il design sobrio, gli angoli acuti, i bordi netti, le superfici a specchio e le forme geometriche creano delle profonde viste prospettiche attraverso lo spazio che incuriosiscono lo spettatore e lo spingono a proseguire nel suo percorso, come fosse una passerella.

Berlino | 25hours di Studio Aisslinger

Nel cuore del distretto City West di Berlino, Werner Aisslinger dello Studio Aisslinger, ha disegnato il nuovo 25hours Hotel Bikini secondo il concept ‘City-meets-jungle’. L’hotel fa parte di un ampio progetto di riqualificazione urbana che prevede la riconversione e trasformazione di fabbricati esistenti. Lo storico edificio, che ospita la nuova struttura ricettiva, è un importante esempio di architettura modernista del dopoguerra, circondato da un lato dalle ampie distese verdi del Parco Tiergarten, dallo zoo di Berlino e dall’altro l’animata Breitscheidplatz, Kurfürstendamm, la vivace via dello shopping.

Questa dualità tra città e natura è stata portata dal progettista all’interno della struttura, ricreando una vera e propria ‘giungla urbana’. Tutti gli interni dell’hotel si distinguono per i colori caldi, i materiali naturali e le finestre a tutt’altezza che offrono la vista diretta sul giardino zoologico. Numerose aree dedicate al ristoro e al relax si snodano intorno alla reception: una caffetteria, un chiosco e spazi d’incontro. Fioriere alte fino al soffitto fungono da pareti divisorie nelle zone comuni in cui amache, divani e cuscini colorati invitano i clienti a rilassarsi. Le piante scendono dal soffitto e si arrampicano su finestre e porte del ristorante concepito come una serra.

Bui corridoi, dai soffitti in calcestruzzo a vista, vengono illuminati da insegne luminose poste sopra le porte a indicare il numero delle camere da letto. Gli interni delle 149 suite sono arredate in maniera unica con testiere dei letti in rame, mensole in legno e metallo ed illustrazioni bianche e nere sulle pareti. A completare il viaggio nell’architettura del 25hours Hotel Bikini, come cigliegina sulla torta, è la sauna con vista sul parco Tiergarten e la terrazza all’ultimo piano con vista panoramica a 360° sulla città.

Specimen Series di Do Ho Suh

‘Specimen Series’ è l’ultima creazione di Do Hu Suh, famoso per le sue opere che sfidano la gravità, per la trasparenza delle sue installazioni architettoniche spettrali e le sue sculture in poliestere. L’artista coreano, ricreando una domesticità trasparente, indaga i temi della percezione che l’uomo ha dell’ambiente in cui vive quotidianamente e di come sia in grado di costruire la propria memoria attraverso il ricordo di stanze ed oggetti. Interessato alla plasmabilità dello spazio nelle sue manifestazioni sia fisiche che metaforiche, l’artista ha dato vita ad installazioni che mettono in discussione i confini di identità, esplorando il rapporto tra l’individualità, la collettività e l’anonimato.

Le sue opere nascono da un’esperienza personale: il senso di perdita provato lasciando il proprio paese per trasferirsi negli Stati Uniti nel 1991. Una sensazione di assenza di qualcosa di importante, esplorata e indagata durante i suoi studi presso il RISD, che l’ha portato a sviluppare una nuova concezione secondo cui gli ambienti del quotidiano diventano lo strumento per stabilire rapporti con nuovi spazi. L’artista ha ricreato gli ambienti e gli oggetti della sua vecchia casa in Corea con tessuti, resine e polistirolo. Fornelli, sanitari, luci con cui Do Ho Suh ha trascorso 15 anni della sua vita e che nel tempo sono diventati dati di misurazione per ricreare ricordi. Il processo di realizzazione di queste opere è stato inteso dall’artista come enfasi della deconcettualizzazione degli oggetti. Durante l’esposizione, la luce enfatizza la trasparenza dei materiali, mostrandone ogni aspetto e rendendo le installazioni totalmente traslucide, senza mistero e senza trucco. Le opere assumono così spettralità, una muta secondo l’artista, in cui l’energia accumulata dagli oggetti viene “sbucciata” per renderli intangibili al tatto.

Do Ho Suh ha ricevuto nel corso della sua carriera vari riconoscimenti, come il BFA in pittura dalla Rhode Island School of Design (RISD) e il MFA in scultura presso la Yale University. Le creazioni dell’artista coreano sono esposte in alcuni dei musei più importanti al mondo, come il MOMA, il Whitney Museum of American Art and Solomon R., il Guggenheim di New York, la Tate Modern di Londra e Mori Art Museum di Tokyo, solo per citarne alcuni.

San Francisco | Cisco-Meraki di Studio O+A

Domare il grande spazio e renderlo umano è stata la mission progettuale dello Studio O + A per il nuovo ufficio Cisco-Meraki.

Spazioso e frizzante, questo luogo di lavoro di 110.000 mq è pieno di colori vivaci su pareti, infissi e mobili, concepito per avere un’atmosfera positiva ed energica e per dare ai dipendenti un ambiente di lavoro che incoraggi la creatività. Alcuni muri, per esempio, sono interamente coperti da lavagne per apporre le proprie idee in qualsiasi momento e altri ricoperti di legno con ricavati degli spazi; trasformati in zone appartate per momenti di relax o di semplice comfort. Ricca tavolozza di colori ed elementi di design fanno dell’ampia scalinata un luogo di conversazione e collaborazione con integrati dei posti a sedere, una sala riunioni decorata da piante pensili (Tillandsia) e una piattaforma esterna con vista sul parco di baseball e Bay Bridge.

In un’intervista fatta ai dipendenti si è scoperto che lo spazio si presenta più piacevole rispetto alla precedente sede perché ha molta luce naturale, data dalle ampie finestre che vanno da pavimento a soffitto con vista panoramica sul lungomare di San Francisco.

Foto di Jasper Sanidad.

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