La cosa che colpisce immediatamente guardando l’Espacio Andaluz de Creación Contemporánea è il motivo esagonale che percorre il tutto. I progettisti, lo studio madrileno Nieto Sobejano Arquitectos dicono di essersi ispirati –effettivamente siamo nel cuore dell’Andalusia- all’architettura tradizionale islamica con la sua capacità di creare spazi multipli e isotropi.
L’edificio in questione non è un organismo centralizzato ma è generato dalla connessione di diversi ambienti che si susseguono l’un l’altro e sono disposti tra loro in diverse combinazioni: una sorta di pattern geometrico che si ripete. Le stanze esagonali creano un percorso sinuoso attraverso l’edificio e ogni spazio può essere usato sia come area espositiva che come spazio creativo. Muri, soffitto e pavimenti sono tutti in cemento armato evocando, in parte, uno spazio industriale. Allo stesso tempo il cemento si offre come uno sfondo neutro su cui intervenire in maniera creativa.
Degli “imbuti” esagonali scendono dal soffitto per fare entrare la luce, e aperture più piccole lungo le pareti che contribuiscono anch’esse all’illuminazione naturale. Queste aperture riprendono il pattern esagonale e alla notte le aperture sul lato lungo il fiume Guadalquivir vengono illuminate con dei LED come la facciata progettata dallo studio tedesco Realities United. Oltre agli spazi espositivi, il centro ospita workshops, laboratori per gli artisti, un auditorium, il caffè e la mediateca.
Qui, un link di un bel video sull’edificio realizzato dallo studio grafico spagnolo Taller de Casqueria.
La location è da mille e una notte. E invece siamo a Copenhagen all’interno dei famosi giardini Tivoli, il famoso parco di divertimenti aperto nel 1843 e una delle mete d’obbligo per chi visita la capitale danese.
All’interno del parco tra le numerose attrazioni ci sono – una serie di edifici costruiti come era di moda nel 19° sec. – in stili esotici e orientaleggianti. All’interno di uno di questi è ospitato l’Hotel Nimb, un boutique hotel a 5 stelle. Sembra che Michael Jackson abbia pensato di acquistarlo negli anni ’90 e che la star holliwoodiana Scarlett Johanssen, il cui cognome rivela le origini danesi, lo usi come base durante le sue visite alla famiglia.
L’hotel ha una storia curiosa. I conugi Nimb Wihlelm e Louise prendono in gestione nel 1877 nei giardini Tivoli il ristorante “divan 2“ trasformandolo in un posto chic che attirava l’elite della capitale danese. Le loro figlie portano avanti l’impresa prendendo in gestione l’edificio in questione progettato dall’architetto danese Knud Arne Petersen nel 1909 per essere un bazar. Nel 2006 gli interni sono stati riprogettati dallo studio milanese Matteo Thun e partners. Le 13 suites hanno dettagli incantevoli e sono caratterizzate da un elegante mescolanza di antico e moderno: dai letti a baldacchino in legno scuro, al mix di materiali estremamente curati naturali in tutti gli spazi, ai dettagli in pelle e legno.
L’hotel comprende anche un bar, una brasserie, un’enoteca, un caseificio che lo rifornisce giornalmente di prodotti freschi e il ristorante una stella Michelin, Herman che si affaccia sui giardini. La brasserie ha un aspetto tipicamente danese sia nella selezione del cibo che nell’estetica degli ambienti, dagli arredi in legno alla disposizione dei fiori alle lampade. C’è anche un’area conferenze che fonde arredi classici, con dettagli floreali sui muri e rifiniture più contemporanee. Inoltre, l’hotel ha una propria rivista Nimb Magazine che si occupa di moda design e architettura.
Parlando ancora di Paesi Baschi e più precisamente nella zona vitivinicola della Rioja, il Viura Hotel si trova a Villabuena de Alava, un hotel a 4 stelle progettato dallo studio mup-arq. Sorge su un terreno accidentato che però, ne trae vantaggio proprio da questa particolare conformazione, integrando varie strategie strutturali e diversi tipi di materiali.
Il piano più basso ad esempio, si attacca alla roccia inglobandola nelle propria fondamenta. A questo livello ci sono gli spazi comuni tra cui il ristorante, la palestra e l’area internet con diverse postazioni. 33 stanze tra cui 4 suites: deluxe e standard, che si trovano ai tre piani superiori. I piani superiori danno origine ad un prospetto molto dinamico: sembrano una serie di cubi impilati in maniera disordinata. I pannelli in cemento e in acciaio-corten diversificano il prospetto. All’interno troviamo materiali diversi accostati tra loro come cemento, legno o roccia. Gli spazi di distribuzione tra interni, cortili esterni e terrazze creano una sorta di giardino verticale il tutto non supera mai gli edifici confinanti.
Inoltre, la costruzione è all’avanguardia per quanto riguarda il risparmio energetico e lo sviluppo sostenibile. Il riscaldamento di tutto l’edificio avviene tramite l’utilizzo di biomasse, ovvero noccioli di olive secchi che funzionano come combustibile. All’interno dell’albergo si trovano solo prodotti locali e lo stesso hotel produce e vende il proprio vino. Sono messe a disposizione ai clienti delle biciclette; per incoraggiarli agli spostamenti “puliti” e far loro vivere con uno sguardo diverso il paesaggio vitivinicolo circostante.
Un omaggio al surrealismo, alle architetture senza funzioni, alla presenza scultorea.
Si impone così sulla scena della fotografia architettonica internazionale Filip Dujardin. Maestro dell’arte digitale, nato in Belgio, compone con grande tecnica artistica architetture scultoree personalizzate assemblando frammenti. Sovrapponendo immagini – il suo archivio contiene un’infinità di foto di materiali usati nell’industria delle costruzioni -, crea mosaici di architetture improbabili, a metà tra il reale e l’irreale.
“In un singolo frammento fotografico – ha dichiarato recentemente in un’intervista rilasciata ad Elle Decor -, potrebbero esserci più di 150 elementi pezzi di architettura reale combinati per generare architetture digitali impossibili”.
Anomale, contro le omologazioni noiose dell’architettura modernista, le opere dell’ fotografo architetto sono visionabili sul Yellowtrace.
Una cattedrale rivestita di titanio che rende omaggio alla luce del nord. Si tratta della Cattedrale della luce del nord che si trova ad Alta una località sami in Norvegia a 300 miglia a nord del circolo polare artico progettata dallo studio danese Schmidt/hammer/lassen architects insieme allo studio svedese Link Arkitektur A/S.
Il progetto è il risultato di un concorso bandito nel 2001 dalla città di Alta e tra le richieste dei committenti era esplicitata la volontà che l’edificio non fosse solo una cattedrale ma che costituisse un landmark per sottolineare il ruolo della cittadina, che è uno dei posti privilegiati per osservare il fenomeno dell’aurora boreale.
La cattedrale si caratterizza per la pianta rotonda e soprattutto per la copertura che si avvolge a spirale e si innalza verso il cielo. Questa spirale è alta 47 m. La facciata rivestita in titanio riflette la luce artica. L’interno offre uno scenario decisamente più calmo. I materiali usati -cemento grezzo per i muri e legno per pavimento, soffitto, e pannelli- si riferiscono comunque al contesto nordico. La luce del giorno penetra nell’edificio attraverso delle aperture strette e lunghe, collocate in maniera irregolare. La chiesa può ospitare fino a 350 persone e dispone di una serie di ambienti annessi come uffici per l’amministrazione, aule scolastiche, aree espositive e un’area parrocchiale.
La cattedrale è stata inaugurata dalla principessa Mette-Marit all’inizio del mese di febbraio.
Lo studio olandese Blauw Architecten e lo studio Faro hanno progettato e realizzato un complesso residenziale che si confronta in maniera serrata con l’elemento acquatico.
Le 9 residenze che si trovano a Nesselande, a nord est di Rotterdam, sono costruite su una diga e largamente integrate con l’acqua. Rotterdam stessa è una città portuale e le ville in questione trovano la loro origine nello spazio circostante. Sono l’ennesimo esempio di come l’architettura olandese continua a confrontasi con il paesaggio acquatico. Carine ter Beek e Roel Lichtenberg architetti di Blauw hanno progettato gli spazi interni delle case pensando alla vista sul circostante paesaggio. I soggiorni delle case si estendono su una terrazza sull’acqua; le canne e l’acqua creano una sorta di separazione dalle case vicine. Dalle cucine al primo piano si ha una vista straordinaria sulla distesa d’acqua sottostante. La pianta della casa è libera ed è stata pensata in questo modo per che ognuno la possa adattare alle proprie esigenze.
Le residenze hanno anche una particolarità costruttiva: per realizzare i muri in alto è stato usato un sistema costruttivo tradizionale, che prevede la creazione di una struttura di base con un traliccio fatto con le canne combinanto a un tipo di materiale che lo consolida come il fango. Questo è un metodo che ha un bassissimo impatto ambientale che isola e protegge dalle intemperie. I muri artigianali sono evidenti nell’elemento che fuoriesce -quella sorta di testata che hanno tutte le case- e fa sì che ognuna sia diversa dalle altre
Nella periferia di Parigi a Boulogne Billancourt, nel nuovo quartiere Trapèze ai piedi della Tour Horizon di Jean Nuovel, sorge l’asilo nido e centro per l’infanzia ribattezzato “della Giraffa” anche perchè è la prima cosa che in effetti vediamo: un’enorme giraffa.
Progetto degli architetti Raphaelle Hondelatte e Mathieu Laporte, che si compone di tre volumi sovrapposti, quasi fossero tre strati differenti, che rimandano alle caratteristiche individuate dai progettisti nel quartiere: sovrapposizioni, terrazzamenti e rampe. I tre volumi sono completamente rivestiti in lamiera ondulata di color bianco formando così, un complesso unitario. Questa attrezzatura pubblica vuole dare vita all’immaginario infantile, l’idea di creare un avvenimento che animi lo spazio pubblico: un animale selvaggio arriva in città!
Un’enorme giraffa che mangia tranquillamente le foglie degli alberi e, se vogliamo entrare nell’edificio, dobbiamo passare tra le sue zampe. Un orso polare sembra voler arrampicarsi su per le scale per arrivare al balcone del piano superiore, mentre una famiglia di coccinelle risale la facciata, nel tentativo di entrare nel cortile. Gli animali sono stati creati appositamente a mano da degli artigiani specializzati e su una superficie totale di ben 1.400 mq si possono ospitare circa 60 bambini.
Foto di Philippe Rualult
In un primo momento il Magna Pars Suites Milano può sembrare un tipico hotel di design moderno con il suo arredamento minimalista e gli spazi ampi. Pubblicizzato come “il primo hotel-à-parfums“, per la sua origine di fabbrica di profumi della famiglia Martone, tuttavia ha un qualcosa in più nella manica.
Già il fatto che si trova in via Tortona, il quartiere di Milano di tendenza per gli showroom, laboratori d’arte e fondazioni di prestigio del design e della moda, la dice lunga, perché oltre ad essere uno spazio polifunzionale per eventi, uffici e studi creativi, il Magna Pars Suites Milano mantiene la sua origine “profumata” per aggiungere un contraddistinto tocco di eleganza agli interni. Essenze olfattive antiche e profanazioni vegetali di fiori (gardenia, gelsomino, neroli e magnolia) e boschi (Sandalo e Patchouli) con colori e dipinti realizzati dagli studenti dell’Accademia delle Belle Arti di Brera, contraddistinguono il tema distinto per ciascuna delle 28 suite, tutte fronte giardino.
Restyle curato dall’Arch. Luciano Maria Colombo che ha privilegiato strutture in legno e acciaio, alluminio e vetro. Un progetto eco-friendly che si alimenta da energia geotermica e fotovoltaica. L’intera struttura dell’edificio è ispirata alla tipica “casa a ringhiera” milanese; a più piani e con gli ambienti collegati da corridoi esterni. Gli ospiti inoltre, sono circondati da un’incredibile collezione di libri, tutti disponibili e molti dei quali risalenti al 19° secolo. Gli interni sono tutti Made in Italy con lampade Flos, divani Poltrona Frau e sistemi di illuminazione Viabizzuno, mentre tutti i mobili sono stati realizzati da artigiani della zona, intorno a Milano.
Una porta “segreta” di rame conduce al cocktail bar Liquidambar, letteralmente “ambra liquida” in riferimento ad una resina naturale che una volta bruciata, sviluppa un fumo aromatico molto piacevole. Il ristorante guidato dallo Chef Fulvio Siccardi, serve piatti della tradizionale cucina italiana. E prima di entrare nel ristorante si può ammirare la cantina a vista e la cucina, e in estate è possibile mangiare anche all’aperto nel giardino.
L’archistar statunitense Steven Holl ha firmato un importante progetto urbano nella città di Chengdu, inaugurato a novembre dello scorso anno. Il programma dell’intervento prevedeva 5 torri destinate ad uffici, appartamenti, negozi, un hotel, ristoranti e caffè, ed un grande spazio pubblico.
Il progettista ha dichiarato di aver voluto evitare sin dall’inizio i soliti iconici grattacieli e si è cercato di intrecciare i diversi utilizzi con il contesto urbano esistente. Gli standard minimi di esposizione alla luce solare per il tessuto circostante prescrivevano dei precisi angoli geometrici da rispettare, dando così origine alla geometria irregolare del blocco. Esso non è monolitico e chiuso in se stesso ma è permeabile in diversi punti: per la precisione ci sono 5 ingressi diversi, che si configurano come dei tagli su diversi lati di questo blocco in cemento bianco. Tutti gli ingressi portano a questa grande piazza centrale che riproduce una sorta di paesaggio artificiale.
Il grande spazio pubblico con altezze diverse si presenta scolpito da rampe, gradini di pietra, alberi e tre laghetti ad altezze diverse, che servono anche come lucernari ai 6 piani interrati del centro commerciale sottostante. Si è cercato di portare la scala umana in questo spazio tramite alcuni accorgimenti come quello dei negozi, che si aprono al livello stradale. Alcune rampe portano ai 3 padiglioni posizionati all’interno dei tagli nel blocco, progettati rispettivamente da Steven Holl (padiglione della storia), Lebbeus Woods (padiglione della luce) e Ai Wei Wei (padiglione di arte locale). Ovviamente il complesso presenta una serie di accorgimenti tecnologici che dovrebbero renderlo sostenibile: le 3 vasche geotermiche della piazza consentono di riutilizzare l’acqua piovana, mentre la vegetazione diffusa provvede al raffreddamento naturale; vetri ad elevate prestazioni, materiali locali e impianti ad alta efficienza energetica.
Deve esserci una relazione profonda tra il “copia & incolla“, dato che l’azione pura nasce dai tempi dell’infanzia e si perfeziona a maggiore età. È un fenomeno che oggigiorno sta assumendo i caratteri di un’abitudine, in un mondo dove esiste già tutto: l’imitazione è certamente più facile del creare ex-novo. Però, se proprio si deve copiare, che almeno si copi bene ed ecco perché si dice che il copiare è un’arte… e in molti affermano che la Cina sia un Paese di eccellenti “riproduttori”, ma ci sono delle eccezioni per molti altri, che oltretutto si ritengono al quanto indignati.
Un caso (riportato da un servizio della BBC) è l’esempio dei cittadini del borgo collinare austriaco di Hallstatt, nonché patrimonio mondiale dell’Unesco, che hanno scoperto per caso una versione fotocopiata delle loro case nel sud della Cina. Chissà, cosa direbbe il grande Le Corbusier nel vedere la sua famosa Cappella di Notre Dame Du Haut a Ronchamp in Francia copiata fedelmente, sempre in Cina, per un ristorante? E come si risolverà la causa di plagio, ancora in corso, contro i “pirati” di Chongqing per il Meiquan 22nd Century, da parte del proprietario del SohoChina, dove l’archistar Zaha Hadid ha progettato il complesso, il quale ha gridato allo scandalo soprattutto perchè i “copia-carbone” stanno costruendo più velocemente del cantiere originale!?
Un problema del remake è l’involontaria aspettativa che si innesca su un’idea, un motivo, una lettura che sia nuova, migliorativa o leggermente diversa tale da giustificare la realizzazione di un rifacimento. Però, per i cinesi, forse la frase di Gianni Versace detta ad un’intervista sulla pirateria, ha dato notevoli spunti: “Se mi copiano è perché piaccio!“