La pratica del riuso in architettura va sempre più diffondendosi, sia per minimizzare l’impatto sull’ambiente che, per trovare soluzioni più flessibili. Lo studio pechinese Tonghe Shanzhi Landscape Design ha realizzato in un villaggio vicino Changzhi nella Cina del nord, quello che sarà un hotel di lusso Xiang Xiang Pray House, con materiali all’apparenza poveri ovvero, dei container di cui il Paese è un grande produttore.
Per realizzare l’hotel a 5 stelle sono stati utilizzati 35 container di cui 21 sono adibiti a stanze e gli altri agli ambienti comuni quali ristorante, reception e altri dedicati ad usi di vario tipo. I container sono stati distribuiti su una superficie di 5.000 mq. Alcuni galleggiano in dei laghetti. Gli interni sono ben allestiti, l’unico problema è lo spazio; le stanze sono di due grandezze 15 e 30 mq e i soffitti sono alti 2,59 m.
Ovviamente sembra ci sia stato un risparmio netto di acqua e calcestruzzo grazie al riutilizzo dei container, nonché di tempo e, il prezzo dei container vuoti è stato di soli 76 mila euro. Poi, sono stati verniciati con vernice ad acqua che rispetta l’ambiente. L’hotel è pronto dallo scorso agosto ma non è ancora stato aperto ufficialmente al pubblico quindi, non sono note le tariffe.
L’existenzminimum portato al suo estremo. Cocoon 1 di Micasa Lab -un brand svizzero che produce oggetti d’arredo senza disdegnare progetti più sperimentali come questo- è pensato per essere uno spazio nello spazio, uno spazio personale, il nostro bozzolo dove ritirarci.
Praticamente è una sfera che nella sua chiusura regala protezione e solitudine ma allo stesso tempo essendo trasparente non isola del tutto. Può essere utilizzato al chiuso, all’aperto o addirittura galleggiare sull’acqua. Non è piccolissimo: ha un diametro di 180 cm e pesa 135 kg. Con vari sistemi di ancoraggio si può persino appendere al soffitto o ad un albero e si possono anche comporre varie unità insieme. Dotato di corrente wi-fi e un angolo cottura, costituisce veramente una piccola unità abitativa. Sarebbe piaciuto agli architetti radicali degli anni settanta!
Fondamentalmente Cocoon 1 può essere arredato disponendo di tre moduli base: una sottostruttura (Foundation 360) e due elementi cuscino (Pillow 90) più, vari elementi supplementari: altri elementi cuscino di varie dimensioni o moduli contenitivi tutti nei 3 colori primari.
Sembrerebbe veramente british questa pittoresca cittadina con tanto di edifici stile tudor o georgiani, cabine telefoniche rosse, strade con i ciottoli e chiesa gotica (che tra l’altro è molto gettonata come location fotografica per il giorno delle nozze), eppure è lontana 5.700 miglia dall’Inghilterra, dato che si trova in Cina a 19 miglia da Shanghai.
Thames Town, questo è il nome della città fotocopia, assomiglia però a una città fantasma. Aperta nel 2006 come replica di un piccolo paese del Regno Unito di cui sono stati copiati edifici pub e negozi nel tentativo di ricreare uno stile di vita britannico. C’é addirittura una statua del celebre maghetto Harry Potter al centro di una rotonda; per non parlare del fiume artificiale a replica del Tamigi.
James Ho uno degli immobiliaristi che hanno sviluppato la zona ha dichiarato di aver voluto che tutto fosse un’esatta copia di quello che aveva visto nel Regno Unito. Thames Town è una nuova città satellite costruita a sud est del centro di Shanghai nell’ambito del programma governativo One City-Nine Town’s plan, pensato in seguito al vertiginoso aumento della Shanghai che negli ultimi 15 anni è cresciuta di circa 8 milioni. Il programma One City Nine Town prevede appunto, la costruzione di nove città satellite intorno a Shangai e sei di queste nuove città sono “a tema europeo”: Inghilterra, Paesi Bassi, Germania, Spagna, Svezia e Italia. In un certo senso il fenomeno delle città sobborghi è attribuito anche al crescere della classe media cinese in maniera per certi versi analoga a quello che è avvenuto nel dopoguerra in occidente.
Progettato per ospitare circa 10 mila persone che in realtà non sono mai arrivate. Sono soprattutto i turisti ad essere attratti da questo straordinario set a cielo aperto. Il fenomeno degli edifici copia in Cina in realtà è abbastanza diffuso. Una copia esatta del London’s Tower Bridge si trova a Suzhou, una città della provincia orientale di Jiangsu. Mentre la città di Huizhou a sud è un perfetto villaggio alpino con annesso lago artificiale una copia della cittadina austriaca di Hallstatt.
Zaha Hadid ha decine di progetti per le mani in questo momento. Tra questi, quello inaugurato più di recente lo scorso sabato 10 novembre; l’Eli e Edythe Broad Art Museum, dedicato all’arte contemporanea che si trova nel campus della Michigan State University.
La struttura si inserisce a pieno titolo nella collezione di edifici creati da Zaha Hadid con il loro dinamismo asimmetrico; questa struttura ricorda un foglio di alluminio ripiegato. Il museo porta il nome dei benefattori, che ne hanno finanziato la costruzione e che possiedono la collezione d’arte ospitata all’interno. La struttura sembra allungarsi verso il campus sviluppandosi più in orizzontale che in verticale; l’altezza massima è infatti 12 m.
Il museo è situato al margine settentrionale del campus, delimitato a nord dalla trafficata Grand River Avenu; a sud invece si estende il cuore storico della città universitaria. I due poli nord e sud generano una rete di strade e collegamenti visivi e in effetti le pieghe direzionali della pianta del museo seguono i diversi assi che virtualmente attraversano il sito su cui sorge l’edificio. Zaha Hadid non è estranea a procedimenti di questo tipo. La nuova piazza che nasce con il museo modifica anche la pedonalità preesistente.
L’apparenza dell’edificio segue l’idea dello spiegarsi seguendo i diversi assi che si intersecano sul sito. La struttura leggera dell’involucro esterno è un corpo affilato che sembra prendere delle direzioni. L’edificio scultoreo si allunga ovest verso l’arteria trafficata, raggiungendo la massima altezza, con una facciata di circa 12 m sulla piazza urbana e il vicino volume della Berkley hall. L’edificio si abbassa poi lentamente fino a diventare alto 8 m sul lato est, quello che fronteggia il giardino delle sculture. La facciata est si apre su una corte fiancheggiata da alberi.
L’involucro che riveste l’edificio è in acciaio inossidabile e vetro, riflettendo così il movimento esterno e conferendo all’edificio un aspetto sempre mutevole che desta la curiosità di chi è all’esterno ma non svela mai del tutto il suo contenuto. Il vetro perforato è usato allo stesso tempo anche per filtrare la luce del giorno all’interno degli spazi espositivi. All’interno, il soffitto bianco rivela le piegature dell’involucro esterno. I muri sono intonacati di bianco; il pavimento al primo piano è in cemento e in legno. Lo spazio espositivo di 1600 mq comprende anche gallerie a doppia altezza. I piani sono tre di cui due sotterranei. Il museo ospita anche un’ala dedicate alla didattica; un centro studi, una caffetteria e uno spazio commerciale.
Lo studio spagnolo A2 Arquitectos ha realizzato un bar elegante in una location inusuale. L’ingresso maestoso alle grotte di Hams, ospita un rigoglioso giardino botanico. È in questo punto che è situato il bar.
Il bancone fatto di lastre di vetro retroilluminato larghe 15 m è l’elemento più importante del progetto; ha la forma di un parallelepipedo ed è inserito in una cavità di cemento dalle linee squadrate che contrasta con l’irregolarità dell’elemento naturale costituto dalle grotte rocciose. Il bancone è in vetro, in un materiale che si presenta con caratteristiche opposte a quelle della roccia, che sono opacità e pesantezza. Esso si distingue nettamente rispetto allo sfondo naturale grazie anche alla retroilluminazione; che inoltre lo rende visibile e facile da trovare.
Durante la notte la luce che emana il bancone insieme all’illuminazione indiretta posizionata attorno alle rocce delle grotte, riesce a illuminare tutto l’ingresso. La scelta di utilizzare delle tonalità verdi per il vetro si ricollega al verde della vegetazione circostante, facendo sì che si instauri un dialogo tra naturale ed artificiale.
Realizzato dallo studio statunitense Howeler+Yoon Architecture – che è appena stato insignito dell’Audi Urban Future Award – il complesso Sky Courts comprende residenze, spazi per uffici, e per l’intrattenimento su di una superficie totale di 67 mila mq.
Il complesso si articola in diversi blocchi distribuiti attorno ad una serie di corti interne. Il succedersi di spazi interni ed esterni dà così origine ad una sequenza estremamente variegata di spazi. Il singolare profilo spezzato del complesso ha origine dalla particolare pendenza verso l’interno delle falde di copertura. Ognuna presenta un’inclinazione leggermente diversa rispetto alle altre. Questo paesaggio dei tetti è reso uniforme dalla copertura con tegole di ceramica. I muri del complesso, che presentano altezze variabili tra loro, sono realizzati in mattoncini grigi di produzione locale, che restituiscono una sorta di unità visiva al complesso. Le finestre e le porte sono incassate nelle facciate e integrate in superfici Cor-Ten, cui colore e texture rompono col grigio delle murature.
Ciò che distingue questo complesso, dalla geometria così sofisticata per la quale gli architetti dichiarano di essersi ispirati alla tipologia tradizionale delle case a corte cinesi, è l’estrema attenzione ai dettagli e ai materiali. Al pianterreno le facciate verso le corti interne sono interamente vetrate lasciando penetrare così la luce negli ampi spazi adibiti a galleria.
Fotografie di Yihuai Hu.
L’AnKERT Bar a Budapest è un posto affascinante ospitato in un edificio abbandonato e (ovviamente) rinnovato, che sta diventando uno dei posti di punta della vivace vita notturna della capitale ungherese.
Il bar si inscrive nella generale tendenza dei cosi detti ruins pub che ultimamente a Budapest sono sorti con grande frequenza nei numerosi edifici ormai in disuso e votati alla distruzione; ricorda in parte ciò che avvenne a Berlino dopo la caduta del muro. L’edificio che ospita l’AnKERT bar, originariamente era un edificio residenziale. Gli architetti di Amoeba hanno deciso di mantenere a livello visivo l’estetica del consumato e danneggiato; questo si riflette soprattutto nella scelta di lasciare i muri nudi dall’intonaco scrostato. In ogni caso sono stati portati avanti tutti i lavori di messa in sicurezza e di consolidamento strutturale dell’edificio. Sono riusciti a mantenere un’estetica che facesse riferimento agli esterni danneggiati soprattutto utilizzando materiali economici e di riciclo.
Ci sono consolles per i dj, lounges e piste da ballo. Lo spazio esterno che comprende anche una distesa di sabbia è allestito con tavolini, tende che sono vele bianche tese tra una serie di assi di legno, il bancone del bar in cemento a vista con una copertura di lamiera. Soprattutto le insegne dalla grafica minimal ma anche un po’ vintage di Szoke Gergerly; scritte nere su sfondi bianchi -vedi i bagni o l’insegna Disco scritta nera su scatola luminosa bianca- hanno contribuito a creare un’identità molto ben riconoscibile per questo posto
Il primo frigorifero che si attiva col sorriso viene dal Giappone, per la precisione dall’università di Tokio. La prima cosa che mi viene in mente è, saranno negate le abbuffate a chi si sente triste ed è intenzionato a consolarsi col cibo, anche se in realtà forzando la porta il frigo si riesce ad aprire comunque!?
Il frigorifero è dotato di una telecamera Sony CyberShot digital camera, che riconosce le fattezze del viso umano e decide di aprirsi solo se sorridiamo. Il laboratorio Rekimoto, che ha realizzato il progetto, ha vinto anche un Good Design Award. Yoshio Ishiguro, Hitomi Tsujita e Jun Rekimoto hanno pensato soprattutto a quell’utenza costituita da single che vivendo soli non interagiscono molto con altre persone; secondo gli ideatori hanno pensato al sorriso che anche se forzato migliorerebbe l’umore.
Sorridendo davanti al frigo appare un’icona luminosa di uno smile insieme ad un suono che ci segnala l’apertura del frigo. I ricercatori hanno effettuato degli esperimenti e notato che se le “cavie” il primo giorno si lasciavano andare solo a sorrisi forzati alla fine dei 10 giorni dell’esperimento sorridevano più volentieri. Sempre secondo gli ideatori un frigo che si apre sorridendo potrebbe migliorare la socialità sul posto di lavoro.
Ha inaugurato al pubblico lo scorso 22 settembre il secondo grande intervento di architettura contemporanea all’interno del Louvre.
23 anni dopo l’iconica piramide di Pei all’interno di una delle corti del Louvre -la corte Visconti- un velo dorato semitrasparente copre i nuovi 3.800 mq di spazio espositivo. La copertura appare come sospesa e non tocca né il pavimento e nemmeno le pareti dell’edificio storico. In realtà, questo velo ha uno spessore che va dai 20 cm fino a toccare in alcuni punti un metro e mezzo. La struttura è fatta di tubi d’acciaio e 2.400 pannelli di vetro schermati con una miscela di alluminio dorato ed argentato, che fanno passare la luce naturale all’interno. Solo 8 pilastri leggermente inclinati sostengono la copertura che pesa 120 tonnellate raggiungendo un massimo di 8 m di altezza.
Per gli architetti Mario Bellini e Rudy Ricciotti la sfida è stata quella di costruire su una superficie così ridotta; lo spazio della corte è di 2.200 mq. La creazione di uno spazio nel sotterraneo della corte ha imposto uno scavo di circa 12 m. Ci sono due livelli dell’esposizione: al livello della corte, opere dal settimo al decimo secolo, mentre al livello sotterraneo opere dei secoli tra l’undicesimo e il diciannovesimo, nonché la collezione dei tappeti. Il progetto museografico e l’allestimento sono del museografo Renaud Pièrard e dello stesso Mario Bellini, che hanno studiato delle vetrine speciali, grandi vetrine-teca interamente in cristallo. Alla fine dei conti il progetto è costato circa 40 milioni di euro.
Siamo a metà strada tra Londra e Canary Wharf, all’interno di un vecchio fabbricato costruito nel 1890 in quello che una volta era la stazione di Wapping Hydraulic Power. Progetto e idea dello studio di architettura e design Capannone 54, dopo un’importante ristrutturazione ed un’ambiziosa riqualificazione è nato uno spazio culturale ineguagliabile, diretto dal sapiente tocco della regista di teatro Jules Wright, sempre alla ricerca di talenti emergenti, con libreria ed un ristorante dal menù diverso giorno per giorno.
The Wapping Project è un luogo che ricorda il Turbine Hall della Tate Modern, con un programma fitto di mostre ed esibizioni contemporanee collocate tra pompe e macchinari originali, in retaggio della natura precedente dell’edificio.
La “nuova” architettura si identifica con la bellezza dello storico (edificio) e le sue finalità, per creare uno sfondo contro il quale gli artisti possono creare ed esporre i propri audaci lavori.
Giustapposizione accentata tra leggerezza e trasparenza del nuovo intensificata con la gravità della costruzione originale. Non mancano gli effetti contemporanei dal dolce sentimento di precarietà architettonico, evidenti nelle scale in acciaio non trattato per ottenere una patina arrugginita.