Il volo è stato cancellato o è in ritardo o semplicemente siete viaggiatori, che dispongono di poco tempo per gli spostamenti. Da oggi, se siete a Malpensa, potete non uscire dal terminal dell’aeroporto e raggiungere, attraverso un tunnel, il nuovissimo Sheraton Milan Malpensa Airport Hotel & Conference Center, sito proprio all’interno del Terminal1.
Alcuni numeri: 55mila mq di superficie totale, 436 camere e suite completamente insonorizzate, 1.200 mq di Ristorante & bar più un Lounge & Bar Snack di 400 mq aperto 24h su 24, 2.000 mq di Centro Conferenze con 22 sale riunioni, 150 mq per il Fitness, 800 mq di Shine SPA con piscina coperta, un’area multimediale e persino 2.400 posti auto a disposizione. Il tutto per 67 milioni di Euro, progetto, vincitore del concorso indetto dalla SEA, dello studio romano King Roselli, quelli che hanno svecchiato l’hospitality a Roma portando l’Es Hotel 10 anni fa (oggi Radisson Blu – SAS) e l’arredamento degli interni disegnati da Saporiti Design Hotel.
Elemento distintivo è l’involucro esterno in pannelli pultrusi in fibra di vetro, una superficie avvolgente, che riveste i diversi servizi situati in sequenza e ad intervalli irregolari in modo da creare un fronte allungato e ritmato. La superficie, quasi piana, della copertura presenta dei tagli che creano terrazzi, lucernari o corti interne, dalle quali attorno sono organizzate le camere degli ospiti, generando, in pianta, un diagramma simile ad un codice a barre. Una struttura dinamica come un grande oggetto di design, immerso oltretutto tra vedute sensazionali sulle Alpi, che fanno dimenticare di essere nel perimetro di un aeroporto.
Foto di Santi Caleca.
METI School Handmade by Heringer Anna – Rudrapur, Soft House by KVA Matx, Sheila Kennedy – Germania, New Museum of Contemporary Art by SANAA, Kazuyo Sejima – New York, Nordpark Cable Railway by Zaha Hadid – Innsbruck, Showroom Corian super-surfaces by Amanda Levete – Londra, Riggio-Lynch Chapel by Maya Lin – Clinton in Tennessee, Porsche Museum by Delugan Meissl – Stoccarda, Hydra Pier by Asymptote Architecture – Paesi Bassi, Cheonan Gallery by UNStudio – Corea, Architekturzentrum Wien Café by Anne Lacaton.
Top 10 di Huffingtonpost che evidenzia i migliori progetti di architettura contemporanea mondiale di donne-architetto. Rare sono le costruzioni interamente realizzate da donne senza la collaborazione, in squadra, del proprio marito o compagno, forse più conosciuto, per fare un esempio, nel Regno Unito solo il 10% degli occupati nel settore edile sono donne e il 12% in quello della progettazione architettonica. E il numero medio di architetti femmina laureati è del 38%, con successivo calo durante l’ingresso e l’inserimento professionale. Cifre vergognose, eppur attuali. Quando nel 2007 a Robert Stern, preside della Yale School of Architecture, era stato chiesto, perché ci sono così poche donne-architetto nel mondo, aveva risposto: “nelle università di architettura come Yale ci sono sostanzialmente 50su50 studenti ambosessi. L’architettura è in stretta relazione tra tempo e business, oltretutto oggigiorno condiziona anche la disponibilità fisica di una persona per l’incredibile dispendio di tempo ed energie in viaggi nazionali ed internazionali. Le donne, nella loro carriera, devono affrontare dei punti critici, come quello della maternità e la loro percentuale nelle “classifiche top” della professione si vede, col tempo, sempre più diminuire. Esse si trovano a fare delle scelte difficili: costrette a combattere tra il desiderio di avere una famiglia ed il poter esercitare la propria passione, nonché mestiere. Certamente in termini di talento e di competenze nel settore, non ci sono differenze tra uomini e donne”. Quindi, il futuro dell’architettura è ancora dominato dalla progettazione degli uomini-maschi così, come è stato nel corso della storia. In un mondo cosiddetto di uguaglianza, ci sono molte donne che lottano per inserirsi in una attività sviluppata da soli uomini, dove l’importanza della professione non si è adattata a loro stesse in uno sforzo per una reale uguaglianza.
Nella neonata città Kang Ba Shi cinese a diversi chilometri dalla vecchia Erdos (Mongolia) è in fase di rifinitura il nuovo History and Science Museum.
Progettato dallo studio MAD Architects, che si è ispirato alla cupola di vetro del Buckminster Fuller (Manhattan), è un “nucleo” irregolare posto tra eleganza della natura e velocità della vita quotidiana. Infatti, questa zona non era altro che parte integrante del deserto dei Gobi, oggi, grazie al boom economico e lo sconvolgente masterplan urbano dal titolo ‘Ever Rising Sun On The Grass Land‘, su di un’area pianificata di 27.760 mq nel nuovo centro cittadino, è stato creato un simbolo-icona della contemporaneità, un enorme complesso culturale di 40 m d’altezza e 200 m di lunghezza. Struttura irregolare, su di una fitta griglia di metallo, con grandi lucernari ed un tetto in vetro, che attirano la luce solare incanalandola all’interno e riflettendola sulle pareti curvilinee, per un impatto scenografico visibile anche da fuori. Lo spazio interno, intervallato da feritoie per la ventilazione, è suddiviso in due padiglioni per due esposizioni distinte, collegati fra loro da un corridoio centralizzato, che corre attraverso il museo.
Un edificio luminoso, arioso e fluido, completamente diverso dal contesto urbano circostante, più asettico e rigido; un effetto che rispecchia l’immagine voluta dall’amministrazione comunale, ma che si contrappone nettamente con quella reale vissuta dagli abitanti della zona.
Il contemporaneo è ormai entrato nella quarta dimensione. L’evolversi del fenomeno ampiezza, altezza, profondità e tempo, oggi, è un’entusiasmante missione per giovani architetti, che proiettano le proprie ideologie in progettazioni di strutture camaleontiche. Il team belga Kinetura, composto da Xaveer Claerhout e Barbara van Biervliet, ha una lunga storia di studi e realizzazioni nel campo multi-funzionale del design. Base della loro ricerca è il rapporto luce-tempo-spazio, identificabile di recente, con la lampada Santiago, primo premio a IF Product Design Award 2011 e con Kinetower, in mostra all’Euroluce 2011 di Milano (12-17 aprile).
Kinetower è un progetto avveniristico di un grattacielo dalla pelle mutante come regolatore d’energia solare e di aerazione. L’edificio rispetta la ‘forma seguendo la funzione‘, caratterizzandosi in una metamorfosi fisica a seconda dell’intensità solare filtrata al suo interno. La sua trasformazione, grazie all’impiego di tecnologie di motion-based, è data dalla dinamicità delle finestre, che si aprono verso l’esterno, prima rigide e statiche poi, collassate e morbide tanto da piegarsi, reagendo in base alla luce o per volontà dell’utente dall’interno, come accade per un fiore quando al mattino sboccia con i primi raggi solari.
Kinetower è un’idea che si rifletterà sull’evoluzione della nostra percezione edilizia, dove ogni complesso diventerà un elemento autonomo dalle molteplici facce e anatomie. Purtroppo, l’orientamento subirà una forte attenuazione e soprattutto non sarà più cosa facile fornire indicazioni stradali…
Foto by Kinetura
Ottima trovata, aprire un hotel di estremo design in un derelitto di Little India a Singapore. Wanderlust Hotel, che letteralmente significa ‘voglia di girovagare’, sorge nella zona di un antico insediamento di immigrati contadini indiani, che allevavano bovini e altri animali, e la struttura, realizzata per una scuola, è del 1920. L’hotel conserva soltanto la facciata originale, dando una parvenza di edificio dal nostalgico fascino di “vecchio mondo”.
Il precursore albergatore Loh Lik Peng, ex-avvocato, ha rivitalizzato la scena dell’ospitalità alberghiera non convenzionale, in un progetto sperimentale di interior design, coinvolgendo quattro agenzie di design Asylum, Phunk Studio, DP Architects e fFurious, che hanno progettato in piena libertà. A primo impatto sembra un ammasso di idee messe alla rinfusa, in realtà, questo bizzarro hotel su quattro piani, è un appassionante luogo, tutto da scoprire.
29 “Pantone rooms”, dove gli ospiti sono catapultati in un design onirico con ambientazioni surreali e mobili stravaganti, come il divano che assomiglia ad una macchina da scrivere, le silouette di mobili in cartone retro-illuminati, le pareti ed il soffitto stellato per una stanza-navicella aerospaziale… un mix di massiccia genialità inventiva, che gioca di forti contrasti di stile e personalizzazione dalla pop-art al minimal, dal total white a quello caleidoscopico. Un boutique hotel ad impulso contemporaneo come nessun altro e soprattutto un banco di prova per la nuova generazione di magnati della ricettività.
Quest’anno si festeggiano i 50 anni del Salone Internazionale del Mobile (12-17 aprile). Alla fiera di Rho per tastare e testare il meglio dell’interior design e del trend style. Il Milano Design Week è un immancabile appuntamento annuale per appassionati ed operatori del settore, che coinvolge l’intera città di Milano con manifestazioni e happening da tenere sott’occhio, perchè proiettano una riflessione sul design, cultura e creatività, nel contemporaneo (mercato) del domani. Un’occasione anche, per vedere aperti alcuni luoghi storici con vesti nuove grazie ai numerosi eventi collaterali.
Vi segnaliamo tra i nostri preferiti ‘da vedere’: The positive floor, ideato dal designer Francesco Maria Bandini per InterfaceFLOR, alla Triennale Design Museum. Un percorso disorientante ed inedito alla scoperta del design innovativo per il sostenibile, dove ritrovare “la retta via” è merito della propria sensibilità ed istintività nell’interpretare lo spazio. Un’imponente installazione nel bianco assoluto, con prismi giganti come totem, sui quali sono applicate delle texture multicolor, che si affacciano ad un soffitto specchiato. Il colore, infatti, è il magnete per la nostra bussola. “Nel guardare in alto, – commenta il designer-progettista – nel desiderio di recuperare quel suolo/materia/certezza senza il quale non potremmo continuare il nostro viaggio e non potremmo indirizzare le nostre scelte, ci viene da pensare che almeno per una volta, varrebbe la pena stare con i piedi per aria”.
Singolare come vedere il mondo alla rovescia e avere sulla testa ciò che normalmente è sotto ai nostri piedi.
02:22 è il tempo necessario per lo spot di Progetto 27, musiche di Zombie Zombie & Jaumet Étienne, che spiega il viaggio in progress (si concluderà nel 2012) nel cuore dell’architettura contemporanea in Europa. In realtà è molto più di un viaggio, è la costruzione di un network di individui e di idee per tutta l’UE con la pubblicazione multimediale di blog, foto, video e in ultima, un libro con mostra dedicata alla Cité de l’Architecture di Parigi.
Progetto 27 è una joint venture tra due architetti LAN – Local Network Architecture – di Parigi (Umberto Napolitano e Jallon Benoit), un regista della FatCat Film (Pierre Zandrowicz) ed il gruppo di graphic designers Undo-Redo (Nicola Aguzzi e Teresa Gaspurutti). 27 decifra i Paesi della comunità europea toccati, 27 le culture incontrate, 27 gli incontri-cene-conversazioni documentati con le persone che attivamente oggi stanno plasmando l’ambiente su cui è costruito il nostro domani e ovviamente, 27 gli architetti selezionati, rigorosamente under 40, coinvolti a raccontare le proprie esperienze professionali, a proporre gli edifici o i luoghi importanti in termini di sviluppo architettonico dei loro paesi al fine di esporre lo stato attuale e la futura traiettoria delle strategie, sfide e problemi nel campo dell’architettura.
É un ambizioso contributo “give-back” alla costruzione di uno spazio comune, l’Europa, in cui l’architettura concilia la sua funzione civica proiettandosi ed investendo nel contesto umano, sociale, economico ed ecologico. Così, ai massimi quesiti esistenziali dell’uomo, una risposta risulta semplice: è possibile essere giovani e un architetto al tempo stesso.
Foto protette da Copyright © 2011, LAN, FATCAT Films, UNDO-REDO.
L’impatto è come vedere l’installazione Pharmacy dell’artista inglese Damien Hirst alla Tate Modern, solo che, invece di medicinali, trovi prodotti bio per la bellezza. Dall’atmosfera decisamente più rilassante, a firma di Rodney Eggleston (March Studio, Melbourne) in collaborazione con Dennis Paphitis, Aesop – rue St. Honoré 256 (Parigi), sito all’interno di un edificio del XVIII secolo, è un tempio al proprio effimero benessere del corpo. È un luogo impregnato di Natura, elemento d’essenza per la profumazione dei locali (come quelli che si sentono nelle spa), per la merce in vendita e per il design. Una scuola di pensiero, che s’ispira tra creatività, scienza e cultura dello shopping; dove lo stile minimalista della grafica e del packaging conquistano e garantiscono una forte fidelity. Anche se siamo a Parigi, qui, tra progettisti, brand e allestimento, tutto è made in Australia.
3.500 tavolette di frassino, intagliate a mano e spedite via mare direttamente dalle foreste Victoria in Australia, sono state impiegate per il rivestimento (pavimento, muri e soffitto) e per le mensole-espositori di varie dimensioni e lunghezze, che si sporgono dai muri come lingue. L’omogeneità dell’utilizzo di un unico materiale, ha creato uno spazio caldo e morbido col risultato di un seducente e disorientante negozio, singolare nel suo genere. Rubando così, la scena sul fronte del design come cool brand e paradiso per clienti in detox overdose con i suoi prodotti di alta qualità per la cura della pelle, corpo e capelli.
In passato, Aesop era un marchio di nicchia, oggi è presente in più di trenta negozi in tutto il mondo, entrando così in ogni casa. E speriamo presto anche in Italia.
La considerevole rivalutazione dell’immagine di Napoli, in questi ultimi tempi, ha imboccato la strada giusta, strano a dirsi, grazie alla onnipresente Plastica. Gli appassionati marcherebbero il concetto affermando che la plastica è diventata oggetto di culto da conservare ed ammirare. Non si può lasciare nel dimenticatoio o peggio in una discarica, le variopinte sedie di Gaetano Pesce, l’appendiabiti a forma di cactus di Franco Mello e Guido Drocco e molti altri oggetti ancora. Ecco che, grazie alla preziosa collezione privata dell’imprenditrice Maria Pia Incutiti, tutti o almeno quasi tutti sono in bella mostra al PLART di Napoli.
1.000m² dedicati all’arte e al design, che raccontano la storia degli usi e costumi della nostra società in continua evoluzione, partendo dall’Ottocento agli anni ‘70 del secolo scorso. Ad aprile (il primo), per l’inaugurazione della nuova sezione multimediale della Fondazione, intitolata ‘Plastiche Alchemiche’, a cura dell’Arch. Cecilia Cecchini e sviluppata da Interaction Design-Lab, sono stati chiamati Elio Caccavale (The University Dundee) e l’Associazione Xtend3dLab (ex-studenti NABA). In progetto, delle installazioni interattive con proiezioni, suoni e colori ispirate ad un oggetto della collezione Plart. E non solo, legate ad un messaggio di sostenibilità ambientale, “Da un mare di petrolio a un campo di girasoli” che evidenzia l’evoluzione della plastica, da quella derivata dal petrolio alla bio-plastica, prodotta con materie prime vegetali rinnovabili.
Con una comunicazione ufficiale sulla pagina dell’evento UIA 2011, il JOB (Japan organizing Board) esprime le sue condoglianze alle vittime del recente terremoto e dello tsunami che si è verificato nel nord-est del Giappone. Ringrazia inoltre i numerosi architetti che da tutto il mondo hanno inviato messaggi di condoglianze, cordoglio e sostegno a tutto il popolo Giapponese che si trova ad affrontare questa immane tragedia.
Nondimeno comunica che i preparativi per l’organizzazione del 24° Congresso Mondiale di Architettura (UIA2011Tokyo) continuano a progredire, nell’attesa di accogliere ed ospitare tutti i partecipanti che intendono visitare il Giappone per l’evento. Durante il convegno naturalmente si avrà anche l’opportunità di discutere di questa recente calamità che riguarda l’architettura, e ci saranno molteplici occasioni di scambio di idee sulle probabili soluzioni alle sfide presentate agli architetti.
VDA non rinuncia a partecipare all’evento ma ha ridotto il numero di posti prenotati e sta ritrattando le tariffe dei pacchetti proposti per UIA Tokyo 2011.
Nella foto il “fiocco per il Giappone” creato dall’architetto John Pawson per sostenere le popolazioni colpite.