Nuovo immancabile punto da visitare al centro di Helsinki, sul lato meridionale della Piazza Narinkka nel quartiere Kamppi, la Chapel Of Silence è ora in programma nel tour a fine agosto di VdA
Una struttura quasi interamente in legno lamellare e senza finestre, dove la luce diretta penetra dall’alto come un’aureola, dall’anatomia sferica e costruita come punto di riferimento o meglio rifugio a tutte quelle persone disagiate e bisognose di protezione e conforto. Anche se l’edificio può essere visitato da tutte le direzioni si può accedere solo attraverso un ingresso vetrato ed un corridoio di cemento, che può essere utilizzato come spazio espositivo e zona di raccolta. L’interno è rivestito di abete rosso, le sedute in legno massello sono state progettate per una capienza di 70 persone, ma la peculiarità essenzialmente è l’onnipresenza del silenzio assoluto.
Un’oasi dove potersi estraniare dal quartiere vivace e concettualmente anche dalle fatiche moderne prodotte dalla frenesia delle nostre stesse città, dalla cultura commerciale e soprattutto dai nostri amati dispositivi tecnologici – ironico a dirsi nella patria della Nokia.
Alcune immagini sono di Tuomas Uusheimo.
È il caso di dire che un nuovo teatro è spuntato a New York: il nuovo Claire Tow Theater si è appollaiato in maniera discreta sul tetto verde del moderno Vivian Beaumont Theater del famoso architetto finno american Eero Saarinen.
Il teatro, dedicato alle produzioni più di nicchia e rivolto ad un pubblico più giovane contiene solo 112 posti, ed è contenuto in una scatola di vetro a due piani di circa 2000 mq incastonata in un’armatura di stecche di alluminio che schermano il sole. La scatola è sorretta da una trave massiccia che come un ponte occupa la campata tra le giganti colonne di supporto della sottostante architettura di Saarinen. Di notte l’effetto è sorprendente quando si vede questa scatola luminosa galleggiare sopra l’altro rettangolo trasparente che è il Beaumont Theater coperto dalla spessa lastra di travertino.
L’intervento su quella che è a tutti gli effetti un’icona del moderno non ha suscitato troppe polemiche, anzi in linea di massima ha riscosso pareri positivi anche perché in fondo le due architetture sembrano parlare un linguaggio simile. L’architetto del Claire Tow Theater è Hugh Hardy un veterano nella progettazione di spazi dedicati alle performing arts. Il suo studio si chiama H3 Hardy collaboration architecture ed uno dei suoi primi lavori più di 50 anni fa è stato proprio a fianco dello scenografo Jo Mielziner uno dei collaboratore di Saarinen per il Beaumont Theatre. In realtà lo stesso Hardy ha rivelato che il sogno di una scatola sopra il teatro risale ai tempi del sindaco Lindsay (1966-73) ma venne successivamente abbandonata perché per molto tempo si fece fatica a riempire il teatro del Beaumont. Successivamente con l’avvento alla direzione di Gregory Mosher prima e André Bishop poi insieme a Bernard Gersten produttore esecutivo, l’esigenza di avere un teatro dove allestire delle produzioni più sperimentale a prezzi più modesti rivolti ad un pubblico giovane è tornata a farsi sentire. Il generale intervento di riqualificazione che ha interessato il Lincoln center progettato da Diller Scofidio + Renfro conclusosi solo un paio di anni fa non ha interessato il Vivien Beaumont Theater che in fondo era il più moderno tra gli edifici del Lincoln Center. L’intervento ha dato però un volto nuovo all’Alice Tully Hall e rimuovendo il ponte sulla 65esima una nuova piazza pubblica di fronte al Beaumont dove tra l’altro sorge anche un bel padiglione di vetro che ospita il ristorante The Lincoln progettato da Fox and Fowle Architects. L’estensione del Beaumont ha fornito ulteriore spazio ai camerini, agli uffici, a una piccola lobby con un bar che si apre sullo splendido tetto terrazzo che offre una splendida vista sulla nuova piazza pubblica; terrazza che in queste notti estive sembra essere stata particolarmente apprezzata.
50 anni e non li dimostra! LEGO li festeggia in giro per l’Australia con una serie di installazioni. La più recente è stata realizzata, dal 2 al 12 luglio, nella cittadina rurale di Broken Hill nel New South Wales.
Increduli, i residenti si sono svegliati in una foresta magica, adornata da 15 pini di gomma alti 4 metri e da un set di altrettanti 15 fiori, 66 volte più grandi degli originali delle celebri costruzioni. Giocattoli viventi in un territorio iconico e vibrante come il Living Desert; una riserva spettacolare tra colori di terra rossa e cieli azzurro intenso.
Mentre nel mese di aprile, la Foresta è stata circondata dal cemento di Martin Place nel centro di Sydney, dove è iniziato il Lego Festival of Play; un progetto che comprende varie iniziative tra cui uno spot in stop motion dedicato alla storia del marchio danese nel paese dei canguri, da quando il venditore John Peddie era arrivato nella capitale nel 1962.
Immagini per gentile concessione di LEGO®.
La letteratura in tema di restauro architettonico, sul senso spaziale –contemporaneo- del patrimonio antico e storico da recuperare è infinita. Né mai cesserà il dibattersi sull’atteggiamento progettuale più appropriato da adottare quando ci si confronta con la storia. Per nostra grazia, avremo sempre di che discutere e schierarci tra posizioni teoriche più o meno individuali, che siano fan o detrattori del romanticismo piranesiano.
L’esempio della chiesa di San Francesc di Santpedor sembra non volersi impegolare in nessuna disfida all’ultimo rudere. Parla da sé e fa pensare. Apre uno “scenario metodologico” enorme nella semplicità del progetto, nella sua disinvoltura: come se “fare così” fosse stato sempre possibile, quasi naturale. (E allora perché nessuno l’ha mai fatto fin qui?)
C’era un rudere. Poco importa come lo sia diventato, sebbene la storia da cui proviene abbia già di per sé un valore (assoluto) come convento di francescani di fine Settecento. Poco importano le vicende che hanno portato a demolire il convento, a lasciar in piedi la chiesa, a far diventare la chiesa un deposito abusivo di auto dismesse, né quanti terremoti abbiano causato i vari crolli, dalla copertura alle murature alla scarnificazione di quel che era rimasto della la chiesa di un convento.
Importa guardare con gli occhi dell’architetto, che lì dentro ha letto lo spazio e la (direzione della) luce tra le sterpaglie e le carcasse delle macchine rotte. Importa provare a simulare quel che l’architetto ha “sentito” stando dentro in quel “fuori”. Importa vedere come può risolversi la contraddizione di riportare in vita un luogo che sembra finito –fermo- sospeso nel tempo, che appare come mai più utilizzabile. La nuova architettura recupera quanto possibile delle sembianze fisiche rimaste e ci si accomoda dentro. Ci si modella dentro spingendo fuori volumi, un po’ qui e un po’ là. Dribblando crolli, fori, buchi, come un racconto nuovo, contemporaneo, che attraversa la storia del luogo, la illustra e la rispetta. Tutto nasce intorno allo spazio interno originario, mantenuto come riferimento immodificabile. Dall’alto proviene una luce insolita: un’apertura irregolare e fuori asse, come “stracciata”, è la traccia “architettonica” di un crollo in copertura, origine e approdo della nuova chiesa di San Francesc di Santpedor.
Testo Emilia A. De Vivo.
Foto Jordi Surroca per David Closes Arquitecte.
Endémico Resguardo Silvestre di Gracia Studio, è un hotel di venti stanze/cellula, di 20 mq ciascuna, disposte –disseminate come sassi- sul pendio della collina nella Valle del Guadalupe, una delle regioni del vino più pregiate del Messico.
Cellule come stanze e stanze come capanne. Ovvero come oggi potrebbe pensarsi una capanna: impatto minimo al paesaggio e al terreno; materiali leggeri e naturali in essenza e colore; stile discreto dell’architettura, che sembra “appoggiarsi” al suolo, senza pretendere di disturbare l’ambiente in un (non necessario) radicamento. Le cellule-capanna si librano a sbalzo, in quota, grazie ad un sistema palafitta in acciaio che le aggancia al terreno per la superficie più ridotta possibile in un dichiarato principio (etico e architettonico ) di “non interferenza”. Unica concessione “estetica” il deck in tavolato con poltrone e tavolo, pronti lì per un bicchiere di vino al tramonto o un dopocena a scrutare il buio della valle.
Una capanna, anche la più lussuosa, è –quasi- effimera. È il primo segno di “casa” dell’uomo e per questo ne raccoglie la vita materiale e quella dei sogni. Tutto può racchiudersi in una capanna, tutto può esservi custodito, a patto che resti vuota, perché tanta la materia da vivere e sognare nel suo spazio-rifugio. Le capanne di Endémico fanno questo: custodiscono senza ingombro, si riempiono senza materia. Invitano a lasciar fuori tutto ed entrare nel paesaggio chiudendo la porta.
Autore: Emilia Antonia De Vivo.
Lo scorso 5 luglio si è finalmente inaugurato con una cerimonia in pompa magna alla presenza del primo ministro del Qatar e del principe Andrew Duca di York, con qualche inevitabile polemica che accompagna sempre le grandi opere delle archistar, il grattacielo progettato da Renzo Piano e soprannominato The Shard.
Lo stato del Qatar è tra i maggiori investitori nel progetto del grattacielo alto 309,6 m, al momento l’edificio più alto d’Europa e il 45° del mondo. L’edificio si erge sulla sponda sud del Tamigi in un punto strategico della City vicino ad altri simboli della città londinese come la London Eye, il Tower Bridge e il Gherkin, e al centro di in un quartiere interessato da un generale processo di rinnovamento. The Shard si inserisce nell’area di Southwark, il nuovo quartiere che si sta formando attorno alla London Bridge Station, uno dei maggiori snodi infrastrutturali della città. Fino a pochi anni fa questa zona era considerata una periferia industriale mentre ora è uno dei luoghi più frequentati, con opere come la Tate Modern di Herzog & De Meuron, il Neo Bankside di Richard Rogers, il More London di Foster e il Riverside Walkway, che conduce fino al Design Museum di Terence Conran.
La torre è stata paragonata più volte dallo stesso Piano ad una sorta di città verticale: 87 piani di cui 72 pubblici a destinazione mista; uffici dal secondo al 28°piano, ristoranti e negozi dal 31 al 33, più un hotel di lusso. Il 5 stelle Shangri-La Hotel dal 34 al 52, e appartamenti di lusso -si parla di un costo medio di 50 milioni di sterline- dal 53 al 65; il punto più alto ospiterà una piattaforma panoramica che offre una vista di 360 gradi su Londra. The Indipendent però, scrive che finora nessuno degli spazi disponibili è stato prenotato.
The Shard, pur essendo un edificio interamente rivestito in vetro sarebbe in grado di risparmiare oltre il 35% dell’energia richiesta dalla climatizzazione dell’edificio. Questo risultato è stato ottenuto grazie ad un’attenta progettazione e ad una doppia “pelle” intelligente, che limita l’apporto di calore massimizzando l‘illuminazione naturale. Il 20% dell’acciaio utilizzato proviene dal riciclo e il 95% dei materiali scartati durante la sua costruzione è stato a sua volta riciclato. Al suo interno sono stati disposti sistemi di ventilazione naturale, tramite apposite aperture verso l’esterno, che serviranno ad arieggiare i giardini d’inverno i presenti nell’edificio. Per rivestire l’edificio sono stati utilizzati circa 10 mila pannelli di vetro. La “pelle” di vetro dell’edificio riflette la luce e il cielo che cambia consentendo così all’edificio di cambiare aspetto a seconda del tempo e delle stagioni. ?Si è stimato che the Shard diventerà il luogo di lavoro per circa 7mila persone, mentre circa 200mila utenti graviteranno ogni giorno intorno all’edificio.
Renzo Piano ha dichiarato che la forma piramidale dell’edificio segue il decrescente peso delle funzioni (uffici, hotel, appartamenti) e allo stesso tempo il pinnacolo che si eleva nel cielo “ricorda le guglie a spirale delle chiese di Londra costruite dall’architetto di St. Paul, Christopher Wren, come precisi segnali urbani nella ricostruzione della città dopo il grande incendio del 1666“.
Il Summer Pop-up bar ristorante del National Theatre 2012 quest’anno è particolarmente attraente. Lo ha allestito Propstore, il magazzino (dei fondi di magazzino) dei set cinematografici più famosi di ogni tempo.
Propstore è un’idea di Stephen Lane nata dalla sua passione per il cinema e dalla voglia di collezionare oggetti, costumi e arredi utilizzati sulle scene dei suoi film preferiti. Nel tempo si è costruito una sorta di archivio ibrido tra il pop, il trash, l’arte e i cimeli dimenticati. Dal sito web di Propstore è possibile selezionare il film che più ci piace e accedere alla vetrina di quanto Stephen e la sua banda di archeologi del cinema, sono riusciti a recuperare dai set dismessi e dai magazzini impolverati delle case cinematografiche. C’è il vestito che indossava Keanu Reeves in Matrix Reloaded (confrontabile con le scene del film in allegato). C’è l’ascia appartenuta a Jack Nicholson in Shining; ci sono tutti i mostri e i costumi della varie serie di Alien. E infinite altre cianfrusaglie provenienti dai film più impensabili. Nel pop-up bar del National Theatre c’è il coccodrillo di Peter Pan, i lampadari dell’epoca di Frankestein.
Una zona “salotto” ricavata con poltrone e cuscini del National poggiati su cassoni con le ruote. Il banco del bar è un vecchio tavolo da biliardo con i piedi poggiati su pile di libri. Sui tavoli snack, sotto vetro, si leggono le sceneggiature insieme a mappe, disegni e schizzi delle scenografie di film di ogni genere. C’è la bicicletta del set di “A Matter of Life and Death” -1946- con David Niven e Kim Hunter, parcheggiata lì, sul tavolo. L’insieme è di certo bizzarro, stravagante, ma il risultato dà la sensazione di un ambiente stranamente familiare, adatto a qualsiasi “scena” della vita reale, che possa svolgersi lì in quel momento, nella propria personale giornata.
Propstore ha due sedi: a Londra (in Hertfordshire) e Los Angeles. Il pop-up bar è aperto fino al 29 settembre davanti al National Theatre, a Southbank Centre. Nei fine settimana c’è musica dal vivo fino alle 2 di notte.
Autore: Emilia Antonia De Vivo.
Progetto da primo premio degli architetti svizzeri IPA, i quattro piani del blocco della ESGE – Secondaire Ecole de Genolier, è un’estensione di una scuola secondaria esistente e di un ponte di vetro che collega l’edificio principale al secondo piano.
In un luogo tra cielo e terra, dove regna solo la bellezza del verde, il suono dolce del fruscio delle foglie mosse dal vento, e un ambiente affascinante per la sua serenità, in armonia con tutto ciò che lo circonda anche con l’idea che sia un luogo di apprendimento.
L’edificio si sviluppa in silenzio nella foresta della Svizzera romanda, di dimensioni modeste e in termini di sostenibilità è al top per la manutenzione, la scelta dei materiali che costituiscono l’involucro esterno e per la copertura resistenti alla forte umidità generata dal vicino bosco. La facciata con finestre modulari è stata ispirata dalle forme computerizzate anni ’80, tipo il gioco Tetris, in realtà il modello ripetitivo ha le sue radici nell’ambiente: uno zoom macroscopico delle foglie ci offre una pixelization per il quadro ritmato delle aperture.
Gli interni variano in base alla luce delle quattro stagioni: autunno in arancione per il livello sotterraneo, l’inverno in marrone all’ingresso, verde per la primavera al primo piano ed il verde-azzurro al secondo piano. Pareti e pavimenti hanno un programma di colore diverso per distinguere i vari spazi: aule, palestra, bagni e foyer d’ingresso. Anche qui i colori traggono la loro origine dalla vicina foresta, come il cemento è marrone per evocare i tronchi degli alberi e i bagni blu per simboleggiare l’azzurro del cielo.
Il nuovo poligono di tiro a segno delle gare olimpiche 2012 è stato appena completato. È formato da tre padiglioni bianchi, rigonfi come se respirassero: tre edifici in microfibra visibilmente in tensione, per la spinta generata verso l’esterno da enormi oblò-ventosa, distribuiti omogeneamente sulle facciate e in copertura. I cubi bianchi riflettono la luce da lontano e danno aria di festa al paesaggio urbano di Woolwich, come fossero grandi chioschi ad una sagra. Il poligono, infatti, non si trova nel Parco Olimpico ma sul sito delle originarie Royal Artillery Barracks.
L’immagine bizzarra è stata paragonata ai tentacoli di un polpo, alle tracce di una mitragliatrice (aerea) gigante, a dei funghi geometrizzati. Magma Architecture –loro- sono di Berlino, e oltre che in Germania, lavorano molto anche nel Regno Unito. Fedeli al nome, quasi in senso strettamente figurativo, derivano spazi ed edifici da una libera interpretazione di forme magmatiche, come auto-performanti, originate da immaginarie masse amebiche informi. Non è la prima volta che i Magma esplorano particolari proprietà di un materiale in flessibilità, resistenza e plasmabilità.
Non è la prima volta che usano il colore come elemento distintivo, come strumento per comunicare (qui il rosso, il blu e il fucsia un colore per ogni edificio per i “buchi” sulla pelle bianca). Né la prima volta che i Magma interpretano il sito specifico con una forma specifica, in maniera (apparentemente) empirica. Piuttosto che generate da un mero grafico geometrico studiato al computer, le forme architettoniche si presentano come scultoree –morbide- ed amorfe, ottenute dalla tensione tra punti (o fori) strategicamente localizzati su membrane di fibra sintetica. Così nel Padiglione espositivo di Haed-In a Berlino (con mega-fori in cui letteralmente si infilava la testa per guardare), e così pure nel padiglione di Kneaded Mass ad Amburgo, dove fori, ancora fori, servivano a puntare lo sguardo, ad orientarlo sugli oggetti.
Nel padiglioni del tiro a segno, le asole sono diventate (anche) occasione per risolvere l’impianto di ventilazione/aerazione, le aperture e gli ingressi. La struttura verrà completamente smantellata e riassemblata a Glasgow per i Giochi del Commonwealth del 2014.
Autore: Emilia Antonia De Vivo.
Il Serpentine Galllery Pavilion 2012 quest’anno lo hanno fatto Herzog & De Meuron insieme ad Ai WeiWei.
Hanno deciso di scavare più che costruire: il già-fatto è più del da-fare, va dunque conosciuto meglio e raccontato ancora. Hanno deciso di scavare le fondazioni degli undici padiglioni che dal 2000 li hanno preceduti. O meglio i resti, i frammenti di quelle costruzioni, senza sapere cosa avrebbero trovato, questo è il senso di tutto: non tanto dare forma ad un significato (tema d’anno del concorso Serpentine), non tanto creare un oggetto, ma trovarlo -quel significato- nell’oggetto che c’era, nelle forme fatte e abbandonate, di certo mai viste perché a ciò non deputate, in quanto sepolte. Per ogni vecchio padiglione ora c’è una colonna a simbolo di quel che c’era.
I visitatori questa volta dovranno guardare sotto il prato della Serpentine, se vorrano capirci qualcosa, sarà lo scavo “archeologico” a raccontare ed esplorare la storia nascosta dei suoi padiglioni estivi. Lo scavo è profondo 5 metri fino a raggiungere la falda acquifera sottostante. Stratificazione fisica nella stratigrafia del terreno e storica, nella stratigrafia degli anni, attraverso le forme e i materiali diversi, dei padiglioni che hanno scandito gli undici cicli di un concorso unico al mondo, inventato nel 2000 dalla Serpentine. Il lavoro è stato strutturato per fasi di “lettura” -catalogazione ed identificazione dei ritrovamenti- per cercare di capire a cosa siano appartenuti, a quale padiglione, risalendo a quelli, dai ferri, dalla loro de-formazione, dal colore, (da quanta ruggine li ha corrosi nel tempo?). Sostanza del lavoro: rendere visibile l’invisibile: l’acqua sotterranea e le tracce sepolte, alla stessa stregua degli impianti di servizio urbani, reti telefoniche, elettriche, idrauliche. Dal groviglio alla forma. La forma è data, basta trovarla e renderla conoscibile, esperibile. Un paesaggio unico– diverso – da qualsiasi cosa si sarebbe potuto inventare ex novo.
Valenza psicoterapeutica collettiva nel lavoro analitico di Ai Weiwei ed Herzog&DeMeuron: voltarsi indietro –scavare- per osservare le azioni compiute in passato, e poterlo fare con distacco e senso critico. Accettare nel percorso a ritroso, che oggi quelle azioni sono diventate “altro”, magari brutte, aggrovigliate, indistinguibili, ma interessanti “insieme” –collegate- inaspettatamente l’una all’altra, nel processo in cui si sono costituite.
Lo scavo ha un tetto come nei cantieri archeologici. È però un tetto d’acqua, come a recuperare la pioggia o l’acqua di risalita dalla falda appena scavata. Piattaforma/contenitore, lente riflettente i cieli di Londra. Il tetto-vasca verrà svuotato periodicamente in occasione di eventi. La copertura tetto-acqua poggia sulle colonne erette a testimonianza degli undici pregressi padiglioni. La dodicesima colonna rappresenta il nuovo padiglione.
La fisicità materica e le sensazioni tattili sono affidate all’uso del sughero, tutto è in sughero, pavimenti, rivestimenti e sedute. Il sughero assorbe colpi e rumori, è confortevole, ci si può sdraiare sopra. Al sughero il compito di comporre l’eterna lotta tra natura e artificio, di riporta nel reale l’astrazione delle forme geometriche.
L’impatto è assolutamente originale, inaspettato: l’oscurità, l’assenza di colore, i passi silenti e l’odore sono le conseguenze “poetiche” di un progetto, quelle che trasformano l’Architettura in Arte. Lo stesso Herzog dichiara di sorprendersi del silenzio che si avverte stando dentro l’anfiteatro: non si sentono i rumori della strada, tutto è ovattato, grazie al sughero. Al termine dell’intervista ci chiede un po’ in ansia, se quella scelta, del sughero, ci piace. Domanda insolita da parte di un maestro, che disvela tutta la bellezza dell’incerto, dell’insondabile, che sottende un’idea.
Come testimonia Christine Murray di Architects Journal, l’odore fragrante del Serpentine Pavilion di quest’anno è stato il tema del discorso di apertura tenuto da Richard Rogers, all’afterparty della serata inaugurale. Rogers ha descritto la sua prima visita come una delle esperienze più belle che abbia mai fatto: “Un padiglione incredibile, un buco e un disco in dialogo con il parco, una grotta primordiale, un spazio-utero, l’odore del tappo, non lo dimenticherò mai”. “L’odore rimanda alla sostenibilità” Con così tanti architetti in visita al padiglione, si può scommettere che l’attenzione a questo materiale aumenterà in maniera esponenziale.
È la prima volta che il Serpentine Pavilion viene progettato a più mani ma la scelta è voluta per segnare la continuità tra i Giochi Olimpici di Pechino e le Olimpiadi di Londra. Ai Weiwei e Herzog & De Meuron portano a Londra la staffetta dell’arte che incontra l’architettura come nel “nido cosmico” dello stadio olimpico di Pechino.
Autore anche delle foto: Emilia Antonia De Vivo.