La considerevole rivalutazione dell’immagine di Napoli, in questi ultimi tempi, ha imboccato la strada giusta, strano a dirsi, grazie alla onnipresente Plastica. Gli appassionati marcherebbero il concetto affermando che la plastica è diventata oggetto di culto da conservare ed ammirare. Non si può lasciare nel dimenticatoio o peggio in una discarica, le variopinte sedie di Gaetano Pesce, l’appendiabiti a forma di cactus di Franco Mello e Guido Drocco e molti altri oggetti ancora. Ecco che, grazie alla preziosa collezione privata dell’imprenditrice Maria Pia Incutiti, tutti o almeno quasi tutti sono in bella mostra al PLART di Napoli.
1.000m² dedicati all’arte e al design, che raccontano la storia degli usi e costumi della nostra società in continua evoluzione, partendo dall’Ottocento agli anni ‘70 del secolo scorso. Ad aprile (il primo), per l’inaugurazione della nuova sezione multimediale della Fondazione, intitolata ‘Plastiche Alchemiche’, a cura dell’Arch. Cecilia Cecchini e sviluppata da Interaction Design-Lab, sono stati chiamati Elio Caccavale (The University Dundee) e l’Associazione Xtend3dLab (ex-studenti NABA). In progetto, delle installazioni interattive con proiezioni, suoni e colori ispirate ad un oggetto della collezione Plart. E non solo, legate ad un messaggio di sostenibilità ambientale, “Da un mare di petrolio a un campo di girasoli” che evidenzia l’evoluzione della plastica, da quella derivata dal petrolio alla bio-plastica, prodotta con materie prime vegetali rinnovabili.
Con una comunicazione ufficiale sulla pagina dell’evento UIA 2011, il JOB (Japan organizing Board) esprime le sue condoglianze alle vittime del recente terremoto e dello tsunami che si è verificato nel nord-est del Giappone. Ringrazia inoltre i numerosi architetti che da tutto il mondo hanno inviato messaggi di condoglianze, cordoglio e sostegno a tutto il popolo Giapponese che si trova ad affrontare questa immane tragedia.
Nondimeno comunica che i preparativi per l’organizzazione del 24° Congresso Mondiale di Architettura (UIA2011Tokyo) continuano a progredire, nell’attesa di accogliere ed ospitare tutti i partecipanti che intendono visitare il Giappone per l’evento. Durante il convegno naturalmente si avrà anche l’opportunità di discutere di questa recente calamità che riguarda l’architettura, e ci saranno molteplici occasioni di scambio di idee sulle probabili soluzioni alle sfide presentate agli architetti.
VDA non rinuncia a partecipare all’evento ma ha ridotto il numero di posti prenotati e sta ritrattando le tariffe dei pacchetti proposti per UIA Tokyo 2011.
Nella foto il “fiocco per il Giappone” creato dall’architetto John Pawson per sostenere le popolazioni colpite.
Il desiderio di interpretare nuove prospettive ed esigenze si sfoga nell’utilizzo di forme, colori e materiali originali e a volte stravaganti, che diventano vere e proprie architetture. Il designer bulgaro Ilian Milinov con la sua sedia HUG ha puntato sulla funzione/gesto di abbracciare la persona amata.
Il progetto, vincitore nel 2010 nella sezione ‘design concept’ al Red Dot Design Award, è un’idea brillante, semplice e complessa al tempo stesso. Con due sedute a livelli sfalsati ci si può accomodare in due e riuscire a stringersi teneramente fra le braccia senza provocare crampi sulle ginocchia dell’amato. Divertente pensare che grazie a Hug i meccanismi di “appoggio” possono essere invertiti, perché senza quantificare chi pesa di più ora ci si potrà coccolare senza nessuna difficoltà e fatica.
Al dilettevole messaggio amoroso, c’è anche un utile e professionale, perché l’ibrida funzione di Hug, simile ad una tavola ricurva, ha l’estremità superiore comoda per l’appoggio, per esempio, di un computer portatile. Inoltre, questa sedia ha un ingombro “ristretto”, perché tutto è proiettato in verticale; ideale per chi ha case piccole o semplicemente per gli interni di minimal design.
Diderot diceva: genio e follia si toccano da vicino… mai quanto al Grand Daddy Hotel (ex Metropole) di Cape Town in Sud Africa; il primo albergo al mondo a vantare una suite al piano attico con sette Airstream originali. Il visionario Grand Daddy Team (Jody Aufrichtig, Nicholas Ferguson, Stefan Botha, Sergio Dreyer e Francois van Binsbergen) ha avuto la brillante idea di creare un camping village a cielo aperto, proprio sul tetto dell’hotel. Whatiftheworld Design Studio si è occupato della direzione creativa di questa stravagante idea, affidando la progettazione e l’allestimento degli interni delle indimenticabili roulotte ad artisti locali. L’Airstream Trailer Park, premiato al Daddy Long Legs Art Hotel, è il primo “insediamento urbano”, dove tra giardinetti e cassette postali c’è persino il Flamingo Pink Cinema e il SkyBar Airstream dalla vista eccezionale su Long Street. Un bizzarro, ma valido esperimento concettuale nel design d’interni, in cui ogni artisti ha generato piccoli mondi a tema, pronti per un pernottamento glamour indimenticabile.
Sarah Pratt è la responsabile creativa dell’ossessione a pois nel “Dorothy” Airstream. “Earthcote Moontides Airstream”, il più grande e lussuoso, di Susan Woodley e Brigitte Dewberry (Freeworld’s Earthcote Paints). “Love of Lace” di Tracy Lee Lynch, un boudoir rosa su ruote. “Goldilocks and the 3 Bears” di Mark e Joe Stead per gli adulti che apprezzano l’umorismo “maturo”. “Pleasantville” di Liam Mooney in stile anni ’50 come nell’omonimo film di Gary Ross. “The-Ballad of John & Yoko” delle artiste Tamsin Relly, Cara Rosa ed il designer tessile Chloe Townsend in onore alla celebre canzone dei Beatles, come sorta di omaggio al Bed-In di Lennon con Yoko Ono. “Afro-Funk” di Carla Soudien, è senza dubbio la roulotte più rappresentativa dello stile di Cape Town; un mix di colori caldi in un design contemporaneo con tessuti Shweshwe e motivi tradizionali Xhosa.
Se questo è il futuro del caravanning, è certo che il Grand Daddy Hotel avrà molti seguaci.
Viaggiare per le stradine a gomito di montagna spesso non è un’impresa facile e trovare spiazzi di sosta agevoli è quasi un miraggio. In Norvegia, seppur con altissime montagne e il clima di certo non mite, il problema non sussiste, grazie al Norwegian Public Roads Administration, che sapientemente ha investito nell’architettura per il paesaggio, con il rinnovamento di 18 strade urbane, coinvolgendo quasi 60 studi di architettura e realizzando ben 131 proposte. Reiselivs-prosjektet, avviato nel 1994 e spesi finora più di 1 miliardo di Euro, è un museo di 1.850 chilometri di lunghezza, che mira alla crescita economica attraverso il turismo con un programma nazionale di itinerari turistici (Nasjonale turistveger) in tutto il Paese. Ogni intervento urbano al paesaggio, rimasto fortunatamente selvaggio, ha una propria combinazione di strutture di servizi igienici, aree di sosta (sempre spazio per due mezzi), parcheggi, sentieri per passeggiate e rifugi picnic dalle panoramiche mozzafiato.
Pit stop all’esemplare progetto di Reiulf Ramstad a Trollstigen, dal norvegese “la scala dei Troll”, nel centro del Romsdal (a sei ore d’auto da Oslo). Qui passa la Statale 63, popolarmente “il sentiero dei Troll”, che conduce alla cascata Stigfossen, dove si scorge tutta la Valle di Isterdalen. È una strada spettacolare di 11 tornanti con pendenza del 12% e che arriva a 852mt di altezza. Ci sono due punti di vista dai quali guardare il paesaggio: uno sopra al bordo della cascata Stigfossen e il secondo, accessibile da una passerella in cemento, da una piattaforma d’osservazione minimal, rivestita con lastre d’acciaio e di vetro lungo il perimetro esterno, che avanza nel vuoto. Sul passo c’è l’immancabile negozio di souvenir, ma anche l’interessante Vegmuseum, che racconta la storia ingegneristica della strada. Trollstigen è sicuramente un posto magico dove cielo, rocce, ghiaccio e creatività s’incontrano in un mix perfetto, ideale per escursionisti, cultori dell’architettura contemporanea e amanti delle arrampicate, che vengono qui, da ogni parte del mondo, per affrontare la parete dei Troll, la più alta parete rocciosa verticale d’Europa (1.800mt).
Basta vedere poche foto di questo spettacolare luogo per segnarlo nella propria agenda tra le mete da non mancare.
Foto by Reiulf Ramstad Architects
Una banca così non s’era mai vista. Incredibile progetto dell’ingegnoso architetto Richard Hassell, vincitore al WAF 2010 e premiato con una stella al Green Star Design Office Rating del Green Building Council of Australia.
ANZ Bank Breakout, è un “campus urbano” di 6.500 persone, il più grande edificio-ufficio a Docklands, Melbourne (Australia). Costruito sul lungomare, sembra un’estensione del distretto urbano esistente. La portata e la complessità dello spazio genera un microcosmo nella città stessa, con piazze, vicoli, strade e luoghi di incontro formali ed informali. Cinque tipi di ‘hub’ distribuiti in 44 spazi esclusivi con zone di relax e zone di lavoro, tutti arredati con il best design contemporaneo. Il risultato è un ambiente flessibile e dinamico con atrio centrale, che mette in mostra i diversi livelli; grandi piani di distinte superfici con stanze volontariamente asimmetriche per creare percorsi inaspettati, proprio come in una fiaba, e che cambiano “personaggio” da pavimento a pavimento, sempre restando all’interno dell’edificio.
Grazie alla collaborazione dei designers Caroline Lieu e Rob Backhouse (Hassell Managing Director), l’atmosfera in questo mega complesso è giocosa e divertente, stimolante per idee creative, che di regola non con-vivono negli ambiente di ufficio bancari. No, quindi a imposizioni di branding aziendali, spesso grigi e soffocanti, ma spazi liberi e unici con colori accesi, applicati in grandi blocchi a forma trapezoidale e texture irregolari. L’ANZ Centre è volutamente un punto di riferimento mondiale per la sostenibilità ambientale e sociale, dato dai sistemi energetici innovativi, il risparmio di risorse idriche e la gestione dei rifiuti. Massima penetrazione della luce naturale con ‘floorplates’ e orientamento dell’edificio in asse Nord-Sud, che riduce il carico termico complessivo. Tutte le aree sono dotate di attrezzature audio-visive state-of-the-art che rafforzano l’impegno della banca per l’innovazione e la tecnologia.
Fotografie di Earl Carter
Londra è in allenamento agonistico… Terminato da poco il Velodromo dello studio londinese Hopkins Architects. È il primo dei mega-progetti, tra cui l’Aquatic Centre di Zaha Hadid, l’Energy Centre di John McAslan, l’Handball Arena di Make e il Media Centre di Allies & Morrison, nato a Lee Valley Park, nell’area nord-est della capitale.
Ospiterà le gare di ciclismo indoor e BMX per i Giochi Olimpici del 2012 con i suoi 6mila posti a sedere, una pista ciclabile, un percorso per mountain bike, strutture ricreative e spazi dedicati al Food & Beverage.
Per le fondamenta sono stati scavati 48.000 metri cubi di materiale (abbastanza da riempire una ventina di piscine olimpioniche) e neanche a dirlo, il VeloPark è un progetto sostenibile dalla testa ai piedi. La copertura, ideata per riflettere la geometria della pista ciclabile sottostante, ha un peso molto ridotto rispetto a qualsiasi altra analoga e perciò, sorretta da una leggerissima struttura in acciaio. Immancabile protagonista del sostenibile, il legno, in questo caso 5000m² di cedro rosso canadese, che riveste la superficie esterna con strategici lucernari posizionati per ridurre la necessità di illuminazione e ventilazione artificiale. Il tutto per un effetto “wooden wave”. Il suo scontrino però, ammonta a 105 milioni di sterline (quasi 125 milioni di Euro).
E dopo il 2012? Oltre a diventare uno dei simboli della città, continuerà ad attirare gare internazionali e diventerà, si spera, lo snodo centrale dei diversi circuiti ciclabili londinesi, nonché base regionale per il British Cycling Team’s Talent, programma annuo di ricerca di futuri piloti del team GB.
di Mikaela Bandini
Primogenita di Viaggidiarchitettura. Capricorno. Decisamente femmina.
Ho deciso di vestire i panni di Urban Blogger per dare alla luce la nostra nuova creatura che attraversa l’Italia dei luoghi non comuni. Da straniera che vive in Italia da vent’anni ho sempre notato la mancanza di informazioni aggiornate e accattivanti per viaggiare nel Bel Paese.
Urban Italy è una versione 2.0 delle mie Moleskine, dove sono riportati i luoghi dove andare e le cose da fare come avrei voluto che qualcuno mi mostrasse anni fa, quando sono arrivata in Italia.
Preciso che non faccio collezione di magliette degli Hard Rock Cafè e, con tutto il rispetto per i monumenti e gli scavi, cerco qualcosa di un tantino più contemporaneo quando viaggio in Italia e nel mondo.
Da consumata multitasker quale sono, ho messo a frutto i miei tempi morti nel corso del 2010, specie sui voli a lungo raggio e nelle noiose attese negli airport- lounge arredati con pessimo gusto, per iniziare a raccogliere una lista di siti tra i miei preferiti. Indirizzi da insider, consigli molto personali e spunti antidemocratici di quello che piace a me dell’Italia. On line da pochi giorni, con quel pizzico di presunzione che ci contradistingue, Urban Italy ambisce a diventare un privilegiato punto di riferimento per nomadi urbani in giro per il vecchio stivale. Tra i suggerimenti proposti: piccoli boutique hotel, consigli per acquisti alternativi, tutto quello che è vintage e perchè no, anche un pò trash. Per realizzare tutto ciò ho messo insieme una lista di amici e amici-di-amici: architetti, designer, giornalisti e soggetti creativi e radical chic che si prestano a fare da “Ciceroni” a tutti coloro che ci contatteranno. Ah, quasi dimenticavo: Urban Italy è ovviamente i-friendly con grafica e setting ottimizzati per il tuo i-phone e i-pad.
AAA Cercasi Draghi Urbani
Sono le persone che fanno la differenza. Per citare il mitico Richard Branson, patron della Virgin, per avere successo ci vogliono tre cose: ‘Good ideas, Good people, Good luck‘. Idee da queste parti ne abbiamo tante e un pizzico di c*** non ci è mai mancato. Ora cerchiamo “Good people“. Il progetto Urban Italy prevede guide-non-guide, draghi urbani, moderni Ciceroni. Dove non ci vuole laurea, master o phD cerchiamo invece passione, conoscenza approfondita di aspetti legati all’architettura, al design, alle nuove tendenze, o per farla breve, al patrimonio urbano contemporaneo. Ovviamente anche un’ottima conoscenza dell’inglese.
Cerchiamo ciceroni per bar hopping, personal design shoppers e guide ad-hoc per i nostri clienti stranieri in cerca del b-side delle città italiane, delle tendenze e novità, accompagnatori urbani specializzati da aggiungere al nostro database di amici e amici-di-amici in Italia, che già ci forniscono assistenza e vari tipi di servizi per i nostri gruppi.
Vuoi provare? Diventa Cicerone per Urban Italy! Inviate dati, curriculum e foto a anne@viaggidiarchitettura.it.
Contribute
Conoscete luoghi interessanti o iniziative emergenti, siti di design industriale o bar hopping, avete voglia di mostrarci gli angoli segreti della vostra città o informarci sui vostri progetti, luoghi preferiti o negozi trendy? Mandateci il vostro materiale, le vostre idee, le vostre proposte e provate a collaborare con noi.
Ci interessa tutto ciò che riguarda l’architettura, il design, la moda, le nuove tendenze che raccontano l’evoluzione urbana delle città, delle aree metropolitane, dei luoghi dedicati all’arte, al cibo, tutto naturalmente Made in Italy. Non ci inviate cose scontate……siamo molto selettivi!
Perche l’asso di bastoni?
Le carte napoletane come simbolo della cultura italiana, un emblema intramontabile di un patrimonio con un design che risale a 300 anni fa e che trovo incredibilmente attuale tutt’oggi. L’asso di bastoni è forse uno dei segni popolari più kitsch che ci sia. Un simbolo, come Viaggidiarchitettura e Urban Italy, che nasce dal Sud e viene utilizzato in tutto il bel paese.
Tutti vorremmo avere un asso nella manica quando viaggiamo, quell’informazione in più, quella curiosità da soddisfare, l’indirizzo giusto per quello che cerchiamo. Ecco il nostro asso, un simbolo che parla inglese con marcato accento italiano. Da non trascurare quel retro ‘Fornasettiano’, creato appena 200 anni prima che nascesse Fornasetti.
E poi molto umilmente… Asso piglia tutto!
White, white e ancora white, al The White Hotel di Bruxelles. Un hotel vestito interamente di bianco, dove le camere e la hall si s-colorano e propongono oggetti personalizzati da ben 60 designer contemporanei. Grazie a questa combinazione, dal 2006 il Thewhitehotel è diventato un punto di riferimento per tutti i cultori del design e non solo, dove poter vedere e toccare la crème degli ultimi dieci anni di design belga. Qui, come per le mostre d’arte, sulla porta d’ingresso di ogni stanza c’è un’etichetta con il nome di chi l’ha progettata. E se volessimo conservare un feticcio dalla camera da letto, come potremmo fare? Nessun problema, l’hotel, attraverso il proprio negozio on line, dà ai suoi ospiti la possibilità di portare a casa alcuni pezzi, come per esempio ‘Snail’ il tavolino con lampada di Thierry Wille o ‘IceCube’ il secchiello per ghiaccio di Danny Venlet e, così tanti altri. Attenzione però, col tempo, gli oggetti vengono sostituiti da nuovi. Il motivo è in stile con la filosofia dell’albergo e cioè quello di darne un aspetto, almeno al suo interno, in continua evoluzione e cambiamento come rappresentazione del design stesso. Stanchi di tutto questo bianco possiamo passare al “nero” con una piacevole esperienza del gusto per le vicine Galeries Saint Hubert, senza dubbio uno dei posti più frequentati del centro di Bruxelles, dove sorseggiare un “hasselts café” e gustare un’ottima cioccolata. Se avete mai assaggiato il loro chocolat, capirete perché ne mangino così tanto! Un’imminente alternativa (26 febbraio) è il Museum Night Fever. Per una notte, decine di musei e centri espositivi di Bruxelles saranno aperti per concerti, performance artistiche, visite guidate e workshops. Si terminerà con un party presso il Bozar, l’Accademia delle Belle Arti.
Tarzan, Peter Pan o Il Barone rampante, l’essere selvaggio… Il richiamo della natura è sempre stato un vivo sentimento per l’uomo. La letteratura fornisce numerosi spunti di case sull’albero. Caligola, nella Roma Imperiale, amava banchettare tra i rami di un enorme platano e Francesco I de Medici fece costruire nella tenuta di Pratolina, in cima ad una enorme quercia, uno sfarzoso rifugio. Oggi tutto ciò non è solo un racconto e nemmeno un ricordo nostalgico di altri tempi, bensì realtà. Infatti, ora più che mai, poter abitare in uno spazio sospeso tra cielo e terra, dove trovare un momento di evasione e magia è possibile.
Un bell’esempio in Italia lo potete trovare presso l’agriturismo La Piantata ad Arlena di Castro (VT) realizzato su progetto del gruppo francese La Cabane Perchée, immerso nel verde della maremma laziale, dove sono a disposizione degli ospiti ben due meravigliose case sull’albero, la Suite Blue, con tanto di frigo Bar attrezzato con Champagne, sospesa sopra un campo di lavanda e, appena inaugurato, il Black Cabin un eco-loft di 87 metri quadrati, high-tech, all’ombra di un Pino Marittimo di 200 anni, a 7 metri da terra.
Attenzione però, non stiamo parlando di un semplice cubo di legno con un grande buco per poterci entrare ed una chilometrica scala a pioli per arrivarci, ma di vere suite con riscaldamento autonomo, spogliatoio, materasso anatomico, bagno con doccia e colazione servita direttamente in camera. Una occasione unica per potersi rigenerare e per rompere gli schemi frenetici del vivere cittadino.